Superbonus: il termine del 31.12.2023 si avvicina. Quali soluzioni per i cantieri in difficoltà? Il risarcimento del danno secondo il Tribunale di Frosinone n. 1080/2023
17 Dic

di Avv. Matteo Carcereri

Sono moltissimi i condominii con cantieri Superbonus in Italia non ancora ultimati o, peggio ancora, fermi per i problemi finanziari dell’appaltatore/general contractor.

Come noto per poter beneficiare dell’aliquota massima di detraibilità nella misura del 110%, le spese – salvo auspicate proroghe dell’ultima ora – devono essere sostenute entro il termine del 31.12.2023, poichè quelle sostenute nel 2024 beneficeranno dell’aliquota del 70% per scendere al 65% nel 2025.

Gli interventi inoltre devono per forza essere ultimati (entro il 31.12.2025) per non incorrere nel rischio di ripresa da parte dell’Agenzia delle Entrate, dei crediti medio tempore erogati.

Quali possibili soluzioni si prospettano quindi per i committenti/condominii ?

1.La soluzione giudiziale:

Laddove il contratto d’appalto contenga clausole che consentano la risoluzione per inadempimento in caso di mancato rispetto del termine del 31.12.2023, sarà possibile agire giudizialmente per il risarcimento del danno.

Il danno può essere molteplice.

a) vi è il danno da perdita di chance, consistente nella minore aliquota di detraibilità delle spese sostenute che -salvo proroghe dell’ultima ora – dal 01.01.2024, scenderà da 110% a 70%, residuando la differenza non detraibile a carico del committente.

La recente pronuncia del Tribunale di Frosinone, n. 1080 del 02.11.2023, ha quantificato il danno, proprio nei maggiori costi risultanti in capo al condominio generati proprio dalla differenza di aliquota.

b) Analogo criterio valga anche per le connesse spese tecnico-professionali, parimenti detraibili al 70% nel 2024 (ed al 65% nel 2025) e costituenti ulteriore voce di danno.

c) vanno considerati poi eventuali danni materiali all’immobile in caso di lavori non conclusi, rinvenibili nei costi di ripristino. Si pensi ad esempio ad un cantiere “sismabonus” che si sia “arenato” dopo le prime demolizioni: l’immobile si troverebbe in stato peggiore di quello in cui versava prima dell’inizio dei lavori, generando così ora costi di ripristino.

Oltre alla soluzione giudiziale, ossia quella di convenire in giudizio l’appaltatore per eventuale inadempimento contrattuale e conseguente risarcimento del danno subito e subendo, la circolare dell’Agenzia delle Entrare n.13/E del 13.06.2023, fornisce lo spunto per soluzioni meno traumatiche.

2. Le varianti alla CILAS ed il cambio del General Contractor

a) La riduzione degli interventi: laddove i lavori siano in fase avanzata, e venga comunque garantito il requisito minimo del guadagno di almeno due classi di efficienza energetica con la prvisione di almeno un intervento “trainante”, è possibile ridurre i lavori previsti, eliminando quelli non strettamente necessari, mediante una variante alla CILAS, per consentire così di terminare i lavori entro il 31.12.2023. In tal modo è scongiurata la necessità di provvedere al pagamento di quella parte di prezzo (30%) che nel 2024 non sarà più detraibile.

La Circolare 13/E ha infatti chiarito che:

L’articolo 2-bis del d.l. n. 11 del 2023 reca una disposizione di interpretazione autentica secondo la quale la presentazione di un progetto in variante alla CILA, o al diverso titolo abilitativo richiesto in ragione della tipologia di intervento edilizio da eseguire, non rileva ai fini del rispetto dei termini previsti dall’articolo 1, comma 894, della legge di bilancio 2023. Con riguardo agli interventi su parti comuni di proprietà condominiale, non rileva, agli stessi fini, l’eventuale nuova deliberazione assembleare di approvazione della suddetta variante. In altri termini, ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile per gli interventi agevolabili di cui al primo periodo del comma 8-bis dell’articolo 119 occorre fare riferimento alla data di presentazione della originaria CILA di cui al comma 13-ter del medesimo articolo 119, o del diverso titolo abilitativo in caso di interventi di demolizione e ricostruzione, e, in caso di interventi condominiali, alla data della prima delibera di esecuzione dei lavori....

Al riguardo, si evidenzia, inoltre, che il comma 13-quinquies dell’articolo 119 del Decreto Rilancio prevede che, in caso di varianti in corso d’opera, queste possano essere comunicate alla fine dei lavori e costituiscono integrazione della CILA presentata. Qualora con riferimento agli interventi trainanti siano rispettate le condizioni previste dall’articolo 1, comma 894, lettere da a) a d), della legge di bilancio 2023, il Superbonus spetta con la medesima aliquota anche per le spese sostenute per gli interventi trainati effettuati sulle parti comuni dell’edificio nonché per quelli effettuati sulle singole unità immobiliari.

b) Il cambio del General Contractor: laddove il problema risieda nelle difficoltà finanziarie del General Contractor, non più in grado di sostenere spese per forniture e subappalti, sempre la Circolare 13/E chiarisce che una delibera di incarico a nuovo appaltatore non inficia la possibilità di beneficiare dell’aliquota massima di detraibilità, sempre ove ne sussistano gli altri presupposti.

La Circolare chiarisce infatti che “costituiscono varianti alla CILA, che non rilevano ai fini del rispetto dei termini previsti dall’articolo 1, comma 894, della legge di bilancio 2023, non solo le modifiche o integrazioni del progetto iniziale ma anche la variazione dell’impresa incaricata dei lavori o del committente degli stessi, nonché la previsione della realizzazione di interventi trainanti e trainati rientranti nel Superbonus, non previsti nella CILA presentata ad inizio dei lavori“.

Con il consenso quindi delle tre parti interessate, è possibile sottoscrivere un accordo trilaterale con cui il quale il nuovo appaltatore si sostituisca a quello originario, rivestendo il condominio in tale accordo, la qualità di contraente “ceduto”.

Il nostro studio ha già assistito imprese, condominii e privati nella consulenza contrattualistica in tema di cessione di contratti “Superbonus”.

Contattaci per una consulenza in materia.

Scarica qui il testo della Circolare 13/E dell’Agenzia delle Entrate del 13.06.2023

Le tre tipologie di tabelle millesimali: Cass. Civ. 29074/2023
17 Dic

di Avv. Matteo Carcereri

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 29074 del 19.10.2023, ha colto l’occasione per ricordare i principi sanciti dalla Cass. Civ. 7300/2010 in tema di tabelle millesimali e della oossbilità di loro revisione.

La Corte riepiloga che si possono individuare tre tipolgie di tabelle millesimali:

1) le tabelle convenzionali c.d. “pure”, caratterizzate dall’accordo con il quale “i condomini, nell’esercizio della loro autonomia”, dichiarano espressamente “di accettare che le loro quote nel condominio vengano determinate in modo difforme da quanto previsto dall’art. 1118 c.c. e art. 68 disp. att. c.c., dando vita alla “diversa convenzione” di cui all’art. 1123 c.c., comma 1, u.p.”: in questo caso, “la dichiarazione di accettazione ha valore negoziale e, risolvendosi in un impegno irrevocabile di determinare le quote in un certo modo, impedisce di ottenerne la revisione ai sensi dell’art. 69 disp. att. c.c.“;

2) le tabelle convenzionali c.d. “dichiarative”, che si differenziano dalle prime perché, “tramite l’approvazione della tabella, anche in forma contrattuale (mediante la sua predisposizione da parte dell’unico originario proprietario e l’accettazione degli iniziali acquirenti delle singole unità immobiliari, ovvero mediante l’accordo unanime di tutti i condomini), i condomini stessi intendono… non già modificare la portata dei loro rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio, bensì determinare quantitativamente siffatta portata (addivenendo, così, alla approvazione delle operazioni di calcolo documentate dalla tabella medesima)”: in detta ipotesi, “la semplice dichiarazione di approvazione non riveste natura negoziale, con la conseguenza che l’errore, il quale, in forza dell’art. 69 disp. att. c.c., giustifica la revisione delle tabelle millesimali, non coincide con l’errore vizio del consenso, di cui agli artt. 1428 c.c. e segg., ma consiste, per l’appunto, nella obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito”;

3) le tabelle c.d. “assembleari”, cioè adottate dall’organo collegiale del condominio con la maggioranza qualificata all’uopo richiesta, le quali risultano “pacificamente soggette al procedimento di revisione di cui al più volte menzionato art. 69”.

Scarica qui il testo integrale

Cass. Civ. 9388/2023: nulla la delibera sui lavori straordinari senza fondo speciale
15 Set

di avv. Matteo Carcereri

In tema di delibere di manutenzioni straordinarie o innovazioni, l’art. 1135 n. 4 c.c. prevede l’obbligatorietà della preventiva costituzione del fondo speciale “di importo pari all’ammontare dei lavori; se i lavori devono essere eseguiti in base a un contratto che ne prevede il pagamento graduale in funzione del loro progressivo stato di avanzamento, il fondo può essere costituito in relazione ai singoli pagamenti dovuti“.

Ecco quindi che diventa molto importante – contrariamente a quanto avviene nella prassi nella maggioranza dei casi – munirsi preventivamente di copia del contratto d’appalto per comprendere quali pagamenti siano dovuti in base agli eventuali stati di avanzamento dei lavori (S.A.L.).

Solo così potrà essere correttamente costituito – e verbalizzato coerentemente – il fondo speciale previsto dalla norma.

La ratio è chiaramente quella di precostituire il fondo necessario al pagamento dei lavori straordinari: ciò al fine di tutelare i condomini virtuosi in regola con i pagamenti, dal rischio di dover sostenere anche la quota parte di spesa non pagata dai condomini morosi, in forza di quanto previsto dall’art. 63, II comma, disp. att. c.c., che prevede una solidarietà nei debiti condominiali, sia pur sussidiaria.

La Corte di Cassazione con la pronuncia n. 9833 del 05.04.2023, ha così dichiarato nulla (nullità rilevabile d’ufficio, come nel caso di specie, anche in sede di opposizione a decreto ingiuntivo) la delibera con cui l’assemblea aveva approvato lavori straordinari per euro 487.000,00, prevedendo uno scadenziario delle rate che – in causa – il condominio non ha dimostrato essere conforme alle scansioni dei pagamenti previsti dal contratto d’appalto.

Scarica il testo integrale della Cass. Civ. 9388/2023

Il Consorzio e il Condominio  – di Maurizio Voi
26 Mag

I principali problemi.

 I grandi spazi, specialmente vicino ai laghi o al mare, sono stati costruiti attraverso lo strumento giuridico del consorzio, ove più imprenditori o investitori si sono associati per l’urbanizzazione di quel particolare angolo di territorio.

Statuto e regole vengono modellate anche per la futura gestione e ripartizione delle spese poiché l’edificazione è in divenire prima che acquisti la stabilità del “totale costruito” e quindi consegnato a tutti i proprietari-consorziati.

Alla fine le semplici o complesse regole del consorzio spesso ispirate alle società di capitali, quanto alla gestione delle decisioni assembleari, e semplificate nella ripartizione delle spese, finiscono per confliggere con il diritto di condominio ormai bagaglio socio-culturale di coloro che desiderano la casa di vacanza e, prima o dopo, si trovano, al calar della sera, a bordo piscina, a parlar di spese e manutenzione.

Se poi il villeggiante a fianco ha venduto il suo appartamento riservandosi le cantine ed avere così l’accesso alla piscina e se lo ritrovano difronte con amici e figli con la quota di proprietà pari ad un millesimo….”apriti cielo”.

Il consorzio

Riassumendo definizioni prese a prestito dall’enciclopedia Treccani e da altri testi sacri, il consorzio può essere definito come un’associazione di persone fisiche o giuridiche, costituita, liberamente o obbligatoriamente, per il soddisfacimento in comune di un interesse dei consorziati, per il coordinamento delle attività economiche, per svolgere in comune determinate operazioni finanziarie intese anche come immobiliari.

Ritagliato il tutto nell’ambito immobiliare ci riferiamo ai consorzi di urbanizzazione, consistenti in aggregazioni di persone fisiche o giuridiche, preordinate alla sistemazione o al miglior godimento di uno specifico comprensorio, mediante la realizzazione e la fornitura di opere e servizi (così, richiamando definizioni analoghe, Cass.4263/2020).

Il Consorzio e il Condominio

Ora mentre il consorzio è una forma di associazione (tra le tante Cass. 7427/2012) con la quale, di solito, più imprenditori decidono di unirsi per realizzare una finalità in comune e questa forma associativa presuppone un contratto e si fonda sulla volontà delle parti di voler costituire un consorzio per svolgere quella determinata attività, il condominio si forma, come sappiamo, con altre modalità.

Con correttezza si afferma, ed è noto, che per la costituzione del condominio non occorre una manifestazione di volontà dei singoli proprietari affinché entrino in funzione le regole previste dagli articoli 1117 e ss c.c., ma che la situazione di condominio edilizio si ha per costituita nel momento in cui l’originario unico proprietario procede al frazionamento della proprietà dell’edificio, trasferendo la proprietà ad altri soggetti.

Insomma il condominio si forma ex jure e facto esi applica la disciplina del codice civile se per le norme disponibili, per esempio l’art. 1123 c.c. (il pomo della discordia), non è disposto diversamente dal titolo o dal regolamento contrattuale.

Inoltre, coloro che acquistano l’appartamento o villetta, sottoscrivono l’adesione al consorzio obbligandosi a rispettare tutte le sue norme.

Se il costruito, con la terminologia a noi nota, è formato da più condomini edilizi, quindi appare la situazione del supercondominio e le regole di gestione sono state scritte nello statuto al momento della costituzione del consorzio, per esempio e per semplificare che tutte le spese si dividono in millesimi, anche quelle afferenti ai singoli edifici, senza distinzione di pertinenza di spesa a questa o quella palazzina, si pone il dubbio di quale regole applicare alla gestione e ripartizione delle spese.

Riassumendo il meccanismo delineato è il seguente: il gruppo d’imprenditori o investitori costituisce il consorzio – approva lo statuto con le regole di funzionamento e di ripartizione delle spese – i singoli acquirenti aderiscono al consorzio e si obbligano a rispettare lo statuto – i proprietari comunque si ritrovano in una situazione di condominio.

La giurisprudenza, pur alle volte oscillante, appare attestata sul principio in forza del quale il consorzio di urbanizzazione è una figura atipica nelle quale i connotati delle associazioni non riconosciute si coniugano con un forte profilo di realità ed il giudice, nell’individuare la disciplina applicabile deve aver riguardo, in primo luogo, alla volontà manifestata nello statuto e, solo ove questo non disponga, alla normativa delle associazioni o della comunione (fra le tante Cass. 9568/2017).

E’ stato poi ritenuto che la disciplina del condominio è legittimamente applicabile al consorzio costituito fra i proprietari d’immobili con la conseguente esclusione delle norme sulla comunione laddove esista una specifica disciplina in tema di condominio.

Ma sappiamo che “il diavolo si annida nei dettagli” così, ritornando al problema della ripartizione delle spese sorge la necessità d’indagare se i principi di ripartizione scritti nello statuto che proiettati nel condominio ex art. 1123 I° co. c.c., possono essere modificati, -laddove nuove esigenze di gestione o l’acquisita consapevolezza che al complesso costruito comunque vanno applicate le norme sul condominio negli edifici,- e ancora, a loro volta, possono essere nuovamente rimodificati applicando anche i principi della proporzionalità dell’ uso (art.1123 II° co. c.c.) e dell’uso parziale, cioè solo di un gruppo di proprietari (art. 1123 III° co. c.c.).

Pensiamo alla manutenzione straordinaria di una facciata di una singola palazzina e alla regola iniziale consortile che tutte le spese vanno suddivise fra tutti i proprietari in proporzione ai millesimi, sicuramente coloro che non risiedono in quella palazzina obietteranno che loro con quella spesa nulla hanno a che vedere. Però rimanendo la regola iniziale “non si può scappare” dalla contribuzione di tutti.

E se l’assemblea del consorzio con le sue regole modifica lo statuto? Oppure vi può provvedere il consiglio di amministrazione?

Tutto ciò può modificare l’iniziale regola di ripartizione in deroga all’art. 1123 c.c.?

Sarà allora da indagare se l’assemblea del consorzio o delibera del CDA a cui i consorziati proprietari hanno dato mandato, aderendovi, possa modificare l’iniziale norma nel rispetto dei principi del condominio che, come abbiamo visto, ex facto va applicata alla gestione del complesso.

Perché se è vero che la ripartizione delle spese necessarie alla conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni sono sostenute dai condomini in base al valore della proprietà di ciascuno ma, ricordiamoci, “salva diversa convenzione”; essendo i condomini comunque consorziati, possono vedersi modificata la “diversa convenzione a maggioranza” dalla delibera del consorzio?

Molto probabilmente si poiché i due istituti si compenetrano o meglio si coniugano come insegna la giurisprudenza che appare consolidarsi.

Ancora multiproprietà ed assemblea dei comproprietari
26 Mag

di Maurizio Voi

Nel primo intervento sulla “multiproprietà” avevamo accennato al fatto che alcune volte nei vari regolamenti si rinviene come l’assemblea dei proprietari sia sostituita dall’ invio di raccomandate di accettazione o meno dei bilanci e nomina o conferma dell’amministrazione.

Il processo di convocazione, verifica della corretta ricezione e deliberazione sui punti principali dell’ordine del giorno proposto è così totalmente delegato all’amministrazione senza possibilità di controllo.

Il controllo del processo decisionale nelle mani dell’amministrazione sembra giustificato da alcune clausole che rimandano al “mandato” in capo all’amministratore -che quindi è delegato a “fare” come meglio ritiene – con buona pace dell’art. 1105 terzo comma c.c.: “Per la validità delle deliberazioni della maggioranza si richiede che tutti i partecipanti siano stati preventivamente informati dell’oggetto delle deliberazioni” (si vogliamo applicare le norme sulla comunione, (cfr.cass.88/1515) ovvero dell’art.66 dacc e 1136 c.c. se vogliamo ritenere applicabili le norme sul condominio.

Ma nell’uno e nell’altro caso il problema della validità di un’assemblea di una “situazione immobiliare in comproprietà di beni” non cambia.

L’art. 1105 c.c. (ricordiamo che siamo nell’ istituto della Comunione in generale art. 1100-1116 c.c.) è chiaro nel riferirsi alle “delibere” intese come espressione della volontà di un consesso di persone che decidono dopo opportuna discussione, ed essa può solo avvenire in presenza per il confronto delle opinioni e contestuale calcolo delle maggioranzedemandato a soggetti terzi che non sia l’amministratore.

Altrimenti l’art. 1109 c.c. sulla “Impugnazione delle deliberazioni” quale decisione preceduta da discussione e ponderazione, non avrebbe senso giuridico. Anche per l’ enciclopedia  Treccani, delìbera s. f. indica la decisione di un organo collegiale.

Come già insegnava il Branca in: Comunione, Condominio negli edifici, Zanichelli,1982 sub. art.1105 pag.194, l’art. 1105 c.c.: “parla di deliberazioni che evidentemente solo da un assemblea possono uscire

Se l’art. 1100 c.c. “Norme Regolatrici” della comunione sembra autorizzare una diversa regolamentazione attraverso un “titolo” rispetto alla legge, la dottrina dubita nel ritenere che tutte le norme regolatrici siano dispositive; in particolare l’art. 1105 c.c. in quanto è  norma   a tutela della minoranza (per tutti, Branca, Comunione, Condominio cit. sub.1100, pag.47; Cian-Trabucchi, Commentario breve al Codice Civile, Cedam, sub art. 1100) è quindi indubbio che se la minoranza non può confrontarsi in un’ assemblea in presenza che poi deliberi con le maggioranze previste perché è esclusa quel tipo d’assemblea, l’articolo del regolamento  è nullo per contrarietà a norme imperative dell’ordinamento.

Nell’intenzione del legislatore deve ritenersi per principio che un confronto di idee debba comunque prevedere la presenza fisica (oggi anche in video conferenza) nello stesso luogo di più persone.

Ma la nullità di quegli articoli inseriti in datati regolamenti della multiproprietà si riverbera anche sulla validità del processo deliberativo che comunque abbia avuto corso.

Ormai è stato chiarito dalla Corte di cassazione che permane nell’istituto della proprietà comune (anche se le sentenze si riferiscono all’ art. 1137 c.c. -condominio) la categoria della nullità delle delibere, poiché essa è una categoria che non è monopolio del legislatore ma “scaturiscono spontaneamente dal sistema giuridico, al di fuori e prima della legge” (Cass. 921/23). Ritengo, con le parole della Suprema Corte, che quanto sopra abbiamo descritto sia un vizio “talmente radicato da privare la deliberazione “ (fatta per corrispondenza e scritta dall’amministratore) “di cittadinanza nel mondo giuridico”.

Multiproprietà, condominio, clausole vessatorie e codice del consumo
26 Mag

di Maurizio Voi

I principali problemi.

Forse i tempi sono maturi per affrontare seriamente i problemi di gestione ed amministrazione degli immobili in multiproprietà (o ad uso turnario) spesso inseriti in un più ampio complesso immobiliare (supercondominio).

I regolamenti di amministrazione della multiproprietà nati negli anni novanta sono stati “costruiti” per accentrare i poteri di gestione, rendere quasi impossibili le assemblee dei proprietari.

Si rinvengono poi clausole che precludono l’accesso all’appartamento nel periodo acquistato, se il proprietario è moroso nei pagamenti, venendo direttamente gestito dall’amministrazione.

La protezione per una amministrazione esclusiva e senza particolari vincoli di rendiconto nei confronti dei proprietari così come riconosciuti inderogabili dalle norme sulla comunione e sul condominio (Titolo VII, Capi I e II del codice civile) è poi blindata da clausole di arbitrato e diverso Foro di competenza, rispetto a quello ove è ubicato l’immobile (art.23 cpc) per l’eventuale instaurazione di un giudizio.

Il tutto per rendere quasi impossibile l’accesso alla giustizia ordinaria giurisdizionale del singolo proprietario poiché, quasi sempre,  l’arbitrato con sede in un luogo dove il potente imprenditore che ha venduto gli immobili ha la sua attività principale fa comprendere al cittadino la sua impotenza.

Così il multiproprietario si trova davanti ad un dilemma, accettare di pagare spese imposte e spesso abnormi per poter godere della vacanza nel periodo acquistato, non pagare e vedersi impedito l’accesso, ovvero reagire con costi di giustizia importanti magari sapendo che il giudizio arbitrale potrebbe non dargli soddisfazione vista la sede ove dover radicare il giudizio?

Perché spesso nei regolamenti della multiproprietà l’assemblea “in presenza” è sostituita da un voto da esprimere per raccomandata da inviare all’indirizzo dell’amministratore e l’eventuale invito a convocare   una classica assemblea ove poter confrontare le proprie idee ed interrogare l’amministrazione sui conti è subordinata ad una richiesta all’amministratore che deve essere presentata da un numero di proprietari quasi impossibile da contattare.

Attualmente i gestori delle multiproprietà infatti hanno buon gioco nell’opporre anche le norme sulla privacy per rifiutare l’invio degli indirizzi (opposizione che però non ha patria).

Norme imperative e nullità.

Ora è noto che gli appartamenti in multiproprietà sono inseriti in un edificio in condominio e, spesso, i condominii sono più di uno con spazi e servizi comuni (si pensi alle multiproprietà marine con piscine, spiaggia e servizi connessi) quindi supercondominio.

La cornice giuridica è complessa poiché la gestione dei singoli appartamenti in proprietà turnaria ha un regolamento, l’amministrazione delle parti comuni dell’edificio che contiene gli appartamenti (condominio) ha altro regolamento anche se spesso vi è commistione, il complesso dei condominii (supercondominio) dovrebbe avere altro tipo di regolamento.

Ma è chiaro che se nei vari regolamenti l’assemblea dei proprietari è sostituita da invio di raccomandate di accettazione o meno dei bilanci e nomina o conferma dell’amministrazione o vi sono clausole che violano i precetti inderogabili di legge sull’amministrazione (art.1117-1139 c.c.) siamo difronte a clausole nulle.

 Il problema è come poi reagire se il principio del Giudice naturale costituzionalmente garantito (art.25 Cost.) è sostituito da un giudizio arbitrale (artt.806 e ss c.c.) metodo alternativo di risoluzione delle controversie (ADR), che indica, quasi sempre, la sede del procedimento nello stesso luogo ove ha la sede legale la società che ha venduto le settimane e che, frequentemente, detiene la maggioranza delle quote e quindi controlla di fatto l’amministrazione.

Clausole vessatorie.

Le clausole che sostituiscono al procedimento giudiziario con il procedimento per arbitrato, con apposita clausola, ed indicano la sede del giudizio in un luogo diverso rispetto al luogo previsto dall’art.23 del codice di rito o domicilio del consumatore, sono vessatorie e devono aver formato oggetto di trattativa individuale per essere valide.

E’ quanto prevede il “codice del consumo” all’art.33 (d.l.vo 6.9.2005, nr.206, negli anni continuamente aggiornato).

L’art.33 lett. t) indica come vessatoria la deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria; la lett. u) stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diverse da quelle del domicilio del consumatore.

Tali deroghe vengono così inserite in articoli di chiusura dei regolamenti dei tre istituti sopra indicati (multiproprietà, condominio e supercondominio) che sono stati fatti accettare agli acquirenti al momento nel rogito d’acquisto – per scrittura privata – dal venditore che spesso non riuscendo o non volendo allocare tutte le settimane, rimane in una posizione economica e decisionale dominante.  

Cone accennato queste clausole non sono riportate nei contratti che trasferiscono la proprietà rogati con scrittura privata autenticata ex art.1350 c.c., ma inserite nei regolamenti richiamati al loro interno “per relationem” che si dice perfetta, diventando così, grazie alle successive adesioni, regolamenti di natura contrattuale.

Tale tecnica è stata ritenuta valida dalla giurisprudenza di legittimità con sentenze che risalgono nel tempo e non se ne è più discusso.

Ma un problema e grave, sussiste, perché senza apposita contrattazione (art.33 cod. consumo) l’acquirente non può comprendere il valore e la portata delle clausole come sbarramento alla tutela dei propri diritti (si pensi all’impugnazione dell’approvazione di un bilancio votato con raccomandata davanti agli arbitri e la richiesta di sospensione della delibera). Egli rimane così in balia di “gestori” che hanno buon gioco, richiamando quel regolamento, a rifiutare confronti e chiarezza nei conti.

L’indagine sulla vessatorietà delle clausole dei regolamenti della multiproprietà e condominio.

Ora una veloce ricerca giurisprudenziale porterà all’incontro con le sentenze della Suprema Corte che escludono la vessatorietà di queste clausole se inserite in un atto rogato da notaio.

In realtà queste sentenze si riferiscono ad “atti pubblici” mentre la compravendita stipulata con “scrittura privata autenticata” è altra cosa (e non risultano precedenti specifici) e, a mio avviso, apre la via all’ eccezione di invalidità di tali clausole perchè vessatorie, in quanto non oggetto di trattativa individuale (art.33 co.4 cod. consumo).

Inoltre i contratti di compravendita della multiproprietà possono inquadrarsi come contratti per adesione conclusi mediante moduli o formulari per disciplinare in modo uniforme quel particolare tipo di contratto, ed è quindi onere del venditore (“professionista” nella terminologia europea poi trasfusa nel codice del consumo) provare che le clausole siano state oggetto di trattativa separata con il consumatore (nel nostro caso l’acquirente) (art.33 5° co. cod. consumo).

E che il multiproprietario sia un consumatore e tutta la regolamentazione di protezione sia applicabile anche alle vendite in multiproprietà è legislativamente previsto dal d.lgs 23.5.2011 n.179.

Si potrebbe obiettare che la il codice del consumo è entrato in vigore nel settembre 2005 mentre prima erano in vigore altre norme: articoli da 1469bis a 1469sexies (introdotte nel 1996) e prima ancora l’art.1341 2° co. c.c., tutt’ora in vigore.

Ma la Suprema Corte a sezioni unite, nella sentenza n.14669 del 2003 quindi con riferimento all’art.1469bis c.c., all’epoca in vigore e che disciplinava la deroga alla competenza, ha enunciato il principio in forza del quale la citata norma (e aggiungiamo noi anche quella sull’arbitrato) ha natura di “norma processuale” e si applica alle cause iniziate dopo la sua entrata in vigore, anche se relative a controversie derivante da contratti stipulati prima.

In via analogica il principio è applicabile anche all’art.33 lett. t) e u) del codice del consumo.

Come reagire.

Le clausole di amministrazione della multiproprietà e del condominio (anche supercondominio) da noi indicate come nulle (per esempio l’assemblea che approva i bilanci per raccomandata, ma ve ne possono essere altre) possono essere attaccate in un procedimento giudiziario ex art. 1109 c.c. o 1137 c.c. nel luogo in cui ha sede l’immobile anche se la contestazione dovrebbe essere portata al giudizio degli arbitri  secondo il regolamento contrattuale approvato per relationem al momento dell’acquisto del bene immobile ad uso turnario.

Questo perché quelle clausole, a prescindere dal tempo in cui sono state sottoscritte, se non sono state oggetto di apposita contrattazione e separatamente approvate, sono vessatorie e quindi non opponibili al consumatore.

Naturalmente i procedimenti giudiziari hanno un costo ed è spesso elevato in rapporto alla quota del multiproprietario, così si potrebbe essere tentati a non reagire; ed è ciò che si pensò al momento della costruzione di quei regolamenti.

Ma con la costituzione di un’associazione per la tutela di tali diritti le prospettive potrebbero cambiare.

Condomini green ed energysharing; per ora in generale.
26 Mag

di Maurizio Voi

Affrontare il vasto campo delle case green volute dall’Europa che ha come finalità la trasformazione delle fonti di energia e la trasformazione del mercato non è impresa semplice; se poi consideriamo che l’ ”autoconsumo” come possibilità che porta, come primo riferimento, ad un gruppo di almeno due persone che svolgono collettivamente la produzione di energia e che si trovano nello stesso edificio o condominio, con i contrasti in giurisprudenza sull’uso del tetto e del lastrico solare, se non si cambia la visione e l’approccio nel senso voluto dall’ Europa, l’Italia, paese di condominii, si troverà in seria difficoltà.

Di certo siamo difronte ad una grande trasformazione e se i veri protagonisti: condomini ed amministratori, non si organizzano ora (il presente è d’obbligo) si ritroveranno esposti all’azione di operatori estranei al condominio il cui interesse non è proprio l’ “energysharing” (cioè la condivisione di energia in cui la collaborazione avviene in modo orizzontale “peer-to-peer”).

Quindi procederemo per gradi, addentrandoci sempre di più in questo vasto campo con l’avvertenza che le parole virgolettate ed in grassetto sono vocaboli tecnici di cui bisognerà prendere confidenza.

La Direttiva 2018 dell’ Unione Europea (c.d. REd.II)  sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili è stata attuata in Italia con il Decreto Legislativo del novembre 2021, per quanto riguarda l’ “autoconsumo” e le “comunità energetiche rinnovabili” è entrato in vigore tra l’aprile 2022 e l’aprile 2023.

Il primo impulso però si ritrova del Decreto Legge del dicembre 2019 che nelle more del recepimento della Direttiva RED II aveva fornito le prime istruzioni per l’associazione ed autoconsumo dei “clienti finali” cioè coloro che producono energia da fonti rinnovabili per esigenze proprie e il surplus immetterlo nella rete.

In gergo sono definiti “prosumer” cioè soggetti che nello stesso tempo producono e consumano energia e sono in grado di generare benefici sociali che scaturiscono da nuovi modelli di “sharing economy” (interessante è lo studio di Marisa Meli, in le Nuove Leggi Civili commentate, maggio 2020).

L’art.30 del D.lvo 2021 dispone che gli autoconsumatori devono trovarsi nello stesso edificio o condominio.

L’art. 1122bis del codice civile è intitolato: “Impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili” così è consentita, sulle parti comuni, “l’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare, su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell’interessato.”

L’art.1122bis specifica il principio generale dell’art. 1102 c.c.: “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.” , principio applicabile anche al condominio e tale facoltà, nell’interpretazione della giurisprudenza,  è chiarita come  “conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione compatibile con i diritti degli altri…i rapporti condominiali sono informati al principio di solidarietà il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione, qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune………(cass.12/14107– cass.22/290)”.

Principio che si ritrova nelle pronunce sull’utilizzazione del tetto da parte del singolo condomino, a volte ammettendolo, altre volte negandolo.

Ora l’energy sharing caro all’Europa come finalità del processo di transizione per una strategia di energia pulita per tutti gli europei dovrà essere sempre tenuto presente nel momento in cui si inizierà a progettare l’impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio dovendosi tener conto di tutti i comproprietari, cittadine europei a cui sono diretti i provvedimenti.

Sarà allora ancora corretto l’aggancio a quella parte del principio dei Giudici di legittimità che ritengono che: “qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune” (cass.12/14107) sia possibile un uso più “egoistico” del tetto, lastrico solare o oltra bene comune dando modo solo ad alcuni dei condomini di intervenire con una propria installazione per la produzione di energia rinnovabile?

Ritengo che ora sia necessario approfondire l’art.832 c.c. sul contenuto del diritto di proprietà nella parte in cui dispone che il diritto del proprietario di godere della cosa in modo pieno ed esclusivo vada coniugato “i limiti e l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico” poiché innanzitutto l’art.42 della Costituzione richiede di valutare la “funzione sociale” della proprietà privata e le norme dell’Unione europea sono in sé fonti di diritto.  

Quindi se la finalità del legislatore è l’energia pulita e l’obiettivo è di realizzare la transizione energetica verso un’economia a basse o ad emissioni zero di carbonio, l’edificio o condominio considerato per tutti i titolari del diritto di proprietà ne diviene il mezzo e il  tetto, lastrico solare o altro bene comune dovrà essere di utilità per tutti e non solo per alcuni poiché, a questo punto deve essere prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione potranno farne lo stesso o identico uso.

E’ nulla la clausola contrattuale che prevede la rinuncia dell’affittuario all’indennità per la perdita di avviamento.
09 Set

La questione trattata dalla sentenza in commento attiene ad un caso di indennità per perdita di avviamento, come disciplinata dalla legge 392/78.

La società conduttrice adiva il Tribunale di Bologna ai fini dell’accertamento del proprio diritto all’indennità di avviamento ex art 34, secondo comma, I. 392/1978 (legge equo canone), che prevede, in caso di cessazione della locazione di un immobile per uso commerciale, industriale o sportivo, il pagamento di 18 mensilità dell’ultimo canone corrisposto, e per la conseguente richiesta di condanna della controparte (società locatrice) al pagamento della somma dovuta per detta indennità.

La proprietaria infatti aveva corrisposto la somma dovuta ai sensi del comma 1 dell’articolo 34 l. 392/78 per la perdita di avviamento, ma aveva rifiutato il pagamento della somma aggiuntiva disciplinata dal comma 2 del medesimo articolo dovuta per la locazione dei locali ad attività analoga a quella della locataria.

In particolare la società locatrice rifiutava il pagamento in forza della previsione contrattuale di cui all’articolo 5 del contratto di locazione stipulato tra le parti, il quale espressamente prevedeva che “Qualora al momento della cessazione del presente contratto – per qualunque causa ciò avvenga – la legge in vigore lo ritenesse valido, il conduttore rinuncia ora per allora a qualsiasi indennità, in quanto di ciò si è tenuto conto nella determinazione del canone di locazione”.

Il nucleo centrale della questione concerne quindi la possibilità o meno di rinuncia o limitazione alle indennità previste dall’art. 34 prima citato.

Inizialmente la decisione del Tribunale sosteneva la nullità della clausola, di cui all’articolo 5 del contratto locatizio, con conseguente condanna della proprietà locatrice al pagamento dell’indennità “aggiuntiva” prevista qualora l’immobile venga, da chiunque, adibito all’esercizio della stessa attività o di attività analoghe ed ove il nuovo esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione del precedente, (art 34 secondo comma l. 392/1978).

Tale decisione veniva riformata dalla Corte d’appello che affermò la validità della clausola e quindi il legittimo conseguente rifiuto della società locatrice al pagamento dell’indennità di cui all’ art. 34, limitatamente però all’indennità disciplinata dal primo comma l. 392/1978, e non incidente, invece, sull’indennità prevista dal secondo comma del medesimo articolo.

Le parti fecero quindi ricorso in Cassazione, la quale, a definizione della vicenda, ha sostenuto il contrasto della clausola contrattuale contenuta nell’articolo 5 del contratto di locazione con l’art. 79 della legge 392/1978 il quale prevede che “E’ nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge”.

Ritenendo in particolare la clausola contrattuale di rinuncia preventiva all’indennità per la perdita di avviamento come un “vantaggio” illegittimo in favore del locatore, la Corte ha concluso per la nullità di ogni patto che attribuisca al locatore appunto una posizione di vantaggio rispetto al conduttore tra cui la clausola di rinuncia preventiva all’indennità per la perdita di avviamento, e ciò con riferimento ad entrambe le indennità di cui al comma primo e secondo art. 34.

Per concludere, la Corte di cassazione ha dichiarato la nullità contrattuale della clausola contenuta nell’articolo 5 del contratto di locazione.

Di Avv. Jessica Vezzari con la collaborazione di Blanca Pighi

9. Riflessioni di condominio
01 Lug

Avverto che quelle che seguiranno sono semplici riflessioni teoriche prospettiche con lievissimi, agganci alla giurisprudenza di legittimità che, legata alla sua funzione nomofilattica, oltre non può spingersi.

E’ rispettata, fonte di approfondite analisi e anche autocritica, a volte non condivisa ma ciò è parte della dialettica.

Il superbonus attualmente impegna i professionisti del settore nel prevedere problemi e soluzioni teoriche a fatti che potrebbero accadere.

E’ una continua attività in divenire a volte superata il giorno dopo da una circolare dell’Agenzia delle Entrate, l’oracolo divenuto norma, a cui rivolgersi. Il senso giuridico di “circolare” ha così subito una mutazione genetica.

Guai a dirlo agli amministratori.

E’ dall’attuale “precario” assestamento del comma 9bis dell’art.119 del dl 34/2020 che prendono spunto queste riflessioni la dove è previsto che “l’assemblea del condominio” approvi a maggioranza “l’adesione all’opzione per la cessione o per lo sconto di cui all’art.121..” e che sempre a maggioranza possa approvare l’accollo a “uno o più condomini” dell’intera spesa” ma “a condizione che i condomini ai quali sono imputate le spese esprimano parere favorevole”.

Vorrei ricercare un senso ma un senso non lo ha (cit. Vasco Rossi).

L’assemblea di condominio o l’assemblea dei condomini?

L’art.1135 c.c. è rubricato: “Attribuzioni dell’assemblea dei condomini” e per la giurisprudenza il condominio non ha autonomia patrimoniale non è un ente di gestione (cass.su.9148/08).

Sicuramente non ha una personalità giuridica (respinta in sede di approvazione della l. 220/2012) il che lo porterebbe all’autonomia patrimoniale perfetta.

Siamo difronte ad una crisi del sistema al quale si è tentato di ovviare ricercando una soggettività giuridica del condominio (cass. su 19663/14).

Ma l’attuale contrapposizione tra diritto comune ed esclusivo è una precisa scelta del legislatore che non ha voluto investire “esplicitamente ed esclusivamente il condominio (e il suo amministratore) del potere di difendere le parti comuni (e i riflessi sulla proprietà dei singoli).” (cass. su 10934/19).

Se per sommi capi l’istituto è questo rigidamente blindato altroché crisi del sistema, direi confusione o, a necessità, per il legislatore di stravolgere i principi teorici, normativi e giurisprudenziali scolpiti sulle tavole della legge.

Si dirà che gli enunciati del comma 9bis -assemblea di condominio e sull’accollo – hanno carattere puramente enfatico perché comunque specificati dalla necessità che sia il singolo proprietario ad accettarlo seppur successivo al deliberato assembleare che comunque rimane incomprensibile.

Anche se vi può essere un passaggio della motivazione di cass.9463/04 che lascerebbe pensare, ad una veloce lettura, che rientrerebbero nella competenza dell’assemblea le spese fiscali afferenti alla sola gestione dei beni comuni (ma il tutto va ricondotto a quella precisa fattispecie che riguardava l’acquisto), non bisogna farsi fuorviare perché la “capacità contributiva” è requisito legittimante il prelievo (A. Giannini: Soggettività tributaria, enciclopedia Treccani).

Ed il centro di imputazione di questa situazione giuridica, quale terminale tributario è il singolo.

Ma se è anche vero che il diritto tributario si può riferire a situazioni giuridiche non qualificabili o non qualificate come soggetti in altri settori, è sempre necessario che siano centri d’imputazione d’interessi, di capacità contributiva ed autonomia patrimoniale (sempre Giannini) ecco che il condominio ne è escluso, anche perché è lo stesso legislatore che lo esclude.

Siamo quindi ad una tensione, oltre misura, del sistema condominio dove ad ogni situazione di “gestione” dei beni e servizi che lo identificano, per interessi della comunità o dei singoli, vengono ignorati i principi fondanti.

Ma sono proprio i principi fondanti che oggi, indirettamente, appaiono essere messi in crisi dai superiori interessi della comunità dall’ambiente ai singoli.

E allora non è forse da ripensare all’istituto prevedendone espressamente la sua personalità giuridica, una autonomia patrimoniale, una rivisitazione delle regole sulle delibere e sulle maggioranze per rendere il sistema più reattivo alle nuove situazioni?

Ormai la “gestione ordinaria” del condominio sta diventando subordinata alle “gestioni straordinarie” di rinnovamento o ammodernamento del patrimonio edilizio e non è detto che il sistema regga.

Avvisi ci arrivano già dalla giurisprudenza di merito proprio sulla coibentazione delle parti comuni che potrebbero compromettere lo spazio d’aria del poggiolo, restringendolo; allora cosa succederebbe ad interventi effettuati con una causa in corso se i Supremi Giudici ritenessero quella delibera di efficientamento che comprime il diritto di proprietà nulla? Si staccano i pannelli?

Maurizio Voi

Nulla la clausola di esonero dal pagamento delle spese condominiali in favore del costruttore per gli immobili invenduti
29 Giu

Con l’ordinanza n.20007/2022 la Suprema Corte ha confermato l’orientamento ormai maggioritario, secondo il quale la clausola di esonero dal pagamento delle spese condominiali predisposta dal costruttore dell’edificio in sede di regolamento, deve ritenersi nulla, poiché in violazione dell’art. 33 del Codice del Consumo.

Una siffatta clausola infatti potrà ritenersi efficace solo laddove il Costruttore dimostri che la stessa è stata oggetti di specifica trattativa. Inoltre dovrà essere dimostrato che dalla clausola di esenzione alla contribuzione delle spese in favore del costruttore, derivi un analogo vantaggio in favore degli altri condomini, al fine di non squilibrare il sinallagma contrattuale tra le parti

In caso contrario infatti la clausola è da considerarsi vessatoria in quanto andrebbe a violare l’articolo 33 del Codice del Consumo che prevede che “Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.”.

Sulla scorta della disposizione in parola la Corte di Cassazione ha evidenziato che “la clausola provoca un significativo squilibrio” non tanto  negli obblighi di contribuzione derivanti dagli articoli 1118 e 1123 Codice civile, ma “dei diritti e degli obblighi derivanti, ai sensi degli articoli 1476 e 1498 Codice civile, dal contratto di compravendita concluso tra il venditore professionista e il consumatore acquirente”.