E’ nulla la clausola contrattuale che prevede la rinuncia dell’affittuario all’indennità per la perdita di avviamento.
09 Set

La questione trattata dalla sentenza in commento attiene ad un caso di indennità per perdita di avviamento, come disciplinata dalla legge 392/78.

La società conduttrice adiva il Tribunale di Bologna ai fini dell’accertamento del proprio diritto all’indennità di avviamento ex art 34, secondo comma, I. 392/1978 (legge equo canone), che prevede, in caso di cessazione della locazione di un immobile per uso commerciale, industriale o sportivo, il pagamento di 18 mensilità dell’ultimo canone corrisposto, e per la conseguente richiesta di condanna della controparte (società locatrice) al pagamento della somma dovuta per detta indennità.

La proprietaria infatti aveva corrisposto la somma dovuta ai sensi del comma 1 dell’articolo 34 l. 392/78 per la perdita di avviamento, ma aveva rifiutato il pagamento della somma aggiuntiva disciplinata dal comma 2 del medesimo articolo dovuta per la locazione dei locali ad attività analoga a quella della locataria.

In particolare la società locatrice rifiutava il pagamento in forza della previsione contrattuale di cui all’articolo 5 del contratto di locazione stipulato tra le parti, il quale espressamente prevedeva che “Qualora al momento della cessazione del presente contratto – per qualunque causa ciò avvenga – la legge in vigore lo ritenesse valido, il conduttore rinuncia ora per allora a qualsiasi indennità, in quanto di ciò si è tenuto conto nella determinazione del canone di locazione”.

Il nucleo centrale della questione concerne quindi la possibilità o meno di rinuncia o limitazione alle indennità previste dall’art. 34 prima citato.

Inizialmente la decisione del Tribunale sosteneva la nullità della clausola, di cui all’articolo 5 del contratto locatizio, con conseguente condanna della proprietà locatrice al pagamento dell’indennità “aggiuntiva” prevista qualora l’immobile venga, da chiunque, adibito all’esercizio della stessa attività o di attività analoghe ed ove il nuovo esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione del precedente, (art 34 secondo comma l. 392/1978).

Tale decisione veniva riformata dalla Corte d’appello che affermò la validità della clausola e quindi il legittimo conseguente rifiuto della società locatrice al pagamento dell’indennità di cui all’ art. 34, limitatamente però all’indennità disciplinata dal primo comma l. 392/1978, e non incidente, invece, sull’indennità prevista dal secondo comma del medesimo articolo.

Le parti fecero quindi ricorso in Cassazione, la quale, a definizione della vicenda, ha sostenuto il contrasto della clausola contrattuale contenuta nell’articolo 5 del contratto di locazione con l’art. 79 della legge 392/1978 il quale prevede che “E’ nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge”.

Ritenendo in particolare la clausola contrattuale di rinuncia preventiva all’indennità per la perdita di avviamento come un “vantaggio” illegittimo in favore del locatore, la Corte ha concluso per la nullità di ogni patto che attribuisca al locatore appunto una posizione di vantaggio rispetto al conduttore tra cui la clausola di rinuncia preventiva all’indennità per la perdita di avviamento, e ciò con riferimento ad entrambe le indennità di cui al comma primo e secondo art. 34.

Per concludere, la Corte di cassazione ha dichiarato la nullità contrattuale della clausola contenuta nell’articolo 5 del contratto di locazione.

Di Avv. Jessica Vezzari con la collaborazione di Blanca Pighi

Il conduttore non ha legittimazione nei confronti del condominio all’installazione di pannelli fotovoltaici
29 Giu

Il Tribunale di Roma  con la sentenza 9316/2022 si è occupato del caso riguardante l’installazione dell’impianto fotovoltaico in un condominio, precisando che solo il condomino-proprietario e non anche il conduttore, dispone della legittimazione a poter richiedere l’autorizzazione ex art. 1122 bis c.c. all’installazione sulle parti comuni condominiali di un impianto fotovoltaico a servizio dell’unità immobiliare in proprietà esclusiva.

Il conduttore, dunque, secondo il giudice capitolino, non ha legittimazione diretta nei confronti del condominio ai fini dell’installazione di pannelli solari adibiti al risparmio energetico del singolo immobile.

Ne discende pertanto che non sia possibile da parte del conduttore richiedere un indennizzo pari alla somma di denaro che si sarebbe risparmiata conseguentemente all’installazione dell’impianto proprio in quanto nessun diritto può vantare il conduttore nei confronti dell’ente condominiale.

Locazione di Immobili commerciali, manutenzioni straordinarie e risoluzione del contratto
11 Nov

di Maurizio Voi, avvocato.

Nei contratti di importanti immobili commerciali come alberghi e grandi strutture dedicate anche al contatto con il pubblico è prassi che la manutenzione straordinaria si accollata al conduttore in deroga all’articolo 1576 c.c.

Il principio generale codificato nell’art. 1575 n.2) c.c., ossia mantenere la cosa in stato di servire all’uso convenuto, trova la sua specificazione nell’art.1576 c.c. in forza del quale il locatore deve effettuare tutte le riparazioni necessarie per mantenere alla cosa la sua naturale destinazione.

La manutenzione è così intesa come un concetto generale, un’attività che sia il risultato finale per l’adempimento dell’obbligazione sopra detto.
Nelle clausole contrattuali si suole distinguere tra “manutenzione ordinaria” e “manutenzione straordinaria” per poi addossarle entrambe al conduttore sul quale così graverà quell’obbligo di conservazione del bene in funzione dell’uso convenuto.

Nel concetto di mantenimento del “buono stato locativo” vi è inizialmente da distinguere tra “guasti” e “vizi” sopravvenuti rispetto alla conclusione del contratto perché la loro incidenza rispetto al canone di locazione e conservazione dell’immobile non di proprietà può comportare una diversa valutazione nella generale economia contrattuale.

Per la giurisprudenza della cassazione le riparazioni necessarie per il mantenimento del buono stato locativo riguardano quegli inconvenienti eliminabili nell’ambito delle opere di manutenzione, ma l’art.1576 c.c. non può essere richiamato per rimuovere guasti o deterioramenti rilevanti.

La prevista deroga contrattuale all’obbligo del locatore viene quindi meno e al conduttore non può essere richiesto l’intervento il quale potrà difendersi invocando l’art.1578 c.c. quindi la risoluzione del contratto. Quei vizi incidono in modo apprezzabile sull’idoneità dell’immobile a servire all’uso pattuito.

La manutenzione attiene quindi all’attività di ordinaria conservazione dell’immobile così, secondo la giurisprudenza della Corte di legittimità, non può mai intervenire per incidere sulla composizione, costruzione, funzionalità strutturale del bene.
Le necessità degli interventi “strutturali” non legittima il conduttore ad agire giudizialmente contro il locatore per ottenerne l’adempimento o effettuare direttamente le riparazioni, lo strumento protettivo del conduttore è la domanda di risoluzione del contratto o riduzione del canone.

La giurisprudenza si è anche espressa sui concetti di manutenzione ordinaria e straordinaria identificando la prima come quella diretta ad eliminare i “guasti” della cosa o comunque di periodica ricorrenza o prevedibilità; qui la spesa è modica.

La manutenzione straordinaria è qualificata come riparazioni non prevedibili e di costo non modico, eccezionali nell’ambito della ordinaria durata del contratto, ovvero di una certa urgenza ed entità al fine di restituire al bene la sua integrità ed efficienza.

La giurisprudenza ha poi elaborato la categoria delle manutenzioni straordinarie di “notevole entità” cioè opere finalizzate ad evitare il degrado edilizio e caratterizzate dalla natura particolarmente onerosa dell’intervento manutentivo.

Quindi nell’ambito di un rapporto locatizio che in deroga all’art.1576 c.c. accolli le spese di manutenzione straordinaria al conduttore, se non precisamente individuati i tipi, le caratteristiche, le modalità degli interventi di manutenzione straordinaria, magari facendo riferimento ad “interventi programmati” in funzione di conservazione, tenuto conto dello stato dell’immobile e del canone di locazione, si pone il problema se il “particolare intervento “straordinario” rientri nel concetto di manutenzione derogata.

E se nell’ambito della ordinaria durata del rapporto si presentino costi di manutenzione straordinaria sproporzionati rispetto al corrispettivo della locazione, ovvero di “notevole entità” finalizzate ad impedire il “degrado edilizio”, l’obbligo d’intervento e del costo non può gravare sul conduttore.

Il conduttore potrà così richiedere la risoluzione del contratto tenendo conto che il sopravvenire di tali necessità non configurano un inadempimento contrattuale ma alterano l’equilibrio delle prestazioni corrispettive (il sinallagma) consentendo la risoluzione o riduzione del canone di locazione.
Maurizio Voi

Locazione commerciale: sì al recesso anticipato per crisi economico/finanziaria del conduttore
25 Set

di Jessica Vezzari (avvocato)

L’accertamento di una crisi aziendale, che sia determinata da fatti estranei alla volontà dell’imprenditore deve essere considerata come un fattore oggettivo che giustifica il recesso anticipato dal contratto di locazione commerciale

Nella sentenza in commento, in un caso di locazione commerciale la società conduttrice si opponeva al decreto ingiuntivo emesso a favore della società locatrice per il pagamento dei canoni di locazione, chiedendo in via riconvenzionale l’accertamento della legittimità del recesso anticipato dal contratto, comunicato a mezzo raccomandata A/R, fondato sui gravi motivi ex art. 27 L. 392/1978, con particolare riferimento alla congiuntura economica.

Il Tribunale prima e la Corte d’Appello successivamente, rigettavano l’opposizione, ritenendo il recesso illegittimo ed inefficace. Nonostante il riconoscimento degli elementi obiettivi della crisi aziendale, e dunque esterni all’azienda stessa, si osservava che la società conduttrice, all’atto della rinegoziazione delle condizioni economiche del rapporto locatizio, non potesse essere all’oscuro dell’avversa congiuntura economica poi posta a fondamento del recesso solo un anno più tardi.

Ciò insieme alla circostanza per cui la società conduttrice aveva deciso di trasferire la propria attività presso altra località, ancorchè con spese di locazione minori, considerata una scelta imprenditoriale non di per sé dettata dalla necessità di “salvaguardare” la realtà aziendale.

Veniva quindi proposto dalla società conduttrice ricorso per Cassazione, adducendo tra le varie motivazioni il mancato riconoscimento dei gravi motivi giustificativi del diritto di recesso. In particolare, si riteneva disatteso l’orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui i comportamenti determinati da fatti estranei alla volontà dell’impresa, imprevedibili alla costituzione del rapporto e sopravvenuti ad esso, pur essendo volontari in quanto volti a perseguire un adeguamento strutturale dell’azienda, possono integrare i gravi motivi posti a base del recesso anticipato.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 5803/2019, ritenendo fondato tale motivo, ha accolto il ricorso. Esaminando la decisione impugnata, la Cassazione ha evidenziato che, sebbene il giudice di merito avesse ravvisato nel caso in esame la sussistenza di elementi oggettivi di crisi aziendale, aveva poi concluso, in modo illogico e contradditorio, sostenendo l’illegittimità del recesso dal contratto.

I gravi motivi di cui all’art. 27 L. 392/1978 devono essere determinati da fatti imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto e tali da rendere oltremodo gravosa la prosecuzione dell’attività, ciò non impedendo al conduttore-imprenditore di operare una scelta di adeguamento strutturale dell’azienda, ampliandola o riducendola, per renderla rispondente alle sopravvenute esigenze di economicità e produttività.

In definitiva, alla luce dell’orientamento della Suprema Corte, l’accertamento di una crisi aziendale, che sia determinata da accadimenti estranei alla volontà dell’imprenditore, deve essere considerata come un fattore obiettivo che giustifica il recesso anticipato dal contratto di locazione commerciale.

Affitto d’azienda: l’inagibilità parziale non giustifica il mancato pagamento del canone
16 Set

di Jessica Vezzari (avvocato)

Con l’ordinanza n. 8760 del 29 marzo 2019 la Suprema Corte di Cassazione si è espressa sull’inadempimento da parte dell’affittuario il quale, a seguito dell’impossibilità di utilizzare parte degli spazi aziendali affittati, rifiutava il pagamento del canone.

Il fatto in breve. La società Alfa concedeva in affitto alla società Beta la propria azienda. La prima conveniva in giudizio l’affittuario affinchè si accertasse l’avvenuta risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1456 c.c., in virtù della clausola risolutiva espressa ancorata all’omesso pagamento del canone. La società Beta si costituiva e chiedeva in via riconvenzionale la risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c. e il risarcimento del danno, per l’inadempimento dell’affittante in quanto, a seguito di sopralluogo dei Vigili del fuoco, una parte del complesso aziendale era stata dichiarata inagibile e quindi inutilizzabile.

I giudici di merito rigettavano la domanda avanzata dalla società Alfa considerando giustificato, ai sensi dell’art. 1460 c.c., il mancato pagamento del canone, a fronte dell’inadempimento della società affittante, consistente nell’aver concesso in affitto spazi non idonei all’uso previsto. 

La società Alfa promuoveva quindi ricorso per cassazione sostenendo la violazione dell’art. 1460 c.c. attesa l’illegittimità della sospensione totale del pagamento del canone a fronte di un inadempimento riguardante la parziale inagibilità del complesso aziendale, che comunque non impediva l’esercizio dell’azienda, le cui attività dedotte in contratto continuavano ad essere svolte.

La Suprema Corte, in accoglimento del ricorso, ha affermato la falsa applicazione da parte della Corte d’Appello dell’art. 1460 c.c

Posto infatti che l’eccezione di inadempimento si fonda sulla regola della buona fede oggettiva, che tra le sue tante declinazioni esige anche che la difesa sia proporzionata all’offesa. Dunque in tanto il rifiuto del pagamento integrale del canone poteva dirsi conforme a buona fede in quanto l’inadempimento dell’affittante avesse impedito il godimento integrale dell’azienda.

In particolare, si deve valutare «se la condotta della parte inadempiente, avuto riguardo all’incidenza sulla funzione economico – sociale del contratto, abbia influito sull’equilibrio sinallagmatico dello stesso, in rapporto all’interesse perseguito dalla parte, e perciò abbia legittimato, causalmente e proporzionalmente, la sospensione dell’adempimento dell’altra parte».

Nel caso in esame, la disponibilità quantitativa degli immobili aziendali doveva quindi essere valutata con riferimento alla possibilità per Beta di esercitare l’attività di impresa dedotta nel contratto di affitto, che non le era comunque preclusa. La disponibilità dei locali da parte della società affittante costituisce ovviamente una prestazione corollaria, ma non è essa stessa lo scopo essenziale del contratto.