Author: adminvoi

Il Consorzio e il Condominio  – di Maurizio Voi
26 Mag

I principali problemi.

 I grandi spazi, specialmente vicino ai laghi o al mare, sono stati costruiti attraverso lo strumento giuridico del consorzio, ove più imprenditori o investitori si sono associati per l’urbanizzazione di quel particolare angolo di territorio.

Statuto e regole vengono modellate anche per la futura gestione e ripartizione delle spese poiché l’edificazione è in divenire prima che acquisti la stabilità del “totale costruito” e quindi consegnato a tutti i proprietari-consorziati.

Alla fine le semplici o complesse regole del consorzio spesso ispirate alle società di capitali, quanto alla gestione delle decisioni assembleari, e semplificate nella ripartizione delle spese, finiscono per confliggere con il diritto di condominio ormai bagaglio socio-culturale di coloro che desiderano la casa di vacanza e, prima o dopo, si trovano, al calar della sera, a bordo piscina, a parlar di spese e manutenzione.

Se poi il villeggiante a fianco ha venduto il suo appartamento riservandosi le cantine ed avere così l’accesso alla piscina e se lo ritrovano difronte con amici e figli con la quota di proprietà pari ad un millesimo….”apriti cielo”.

Il consorzio

Riassumendo definizioni prese a prestito dall’enciclopedia Treccani e da altri testi sacri, il consorzio può essere definito come un’associazione di persone fisiche o giuridiche, costituita, liberamente o obbligatoriamente, per il soddisfacimento in comune di un interesse dei consorziati, per il coordinamento delle attività economiche, per svolgere in comune determinate operazioni finanziarie intese anche come immobiliari.

Ritagliato il tutto nell’ambito immobiliare ci riferiamo ai consorzi di urbanizzazione, consistenti in aggregazioni di persone fisiche o giuridiche, preordinate alla sistemazione o al miglior godimento di uno specifico comprensorio, mediante la realizzazione e la fornitura di opere e servizi (così, richiamando definizioni analoghe, Cass.4263/2020).

Il Consorzio e il Condominio

Ora mentre il consorzio è una forma di associazione (tra le tante Cass. 7427/2012) con la quale, di solito, più imprenditori decidono di unirsi per realizzare una finalità in comune e questa forma associativa presuppone un contratto e si fonda sulla volontà delle parti di voler costituire un consorzio per svolgere quella determinata attività, il condominio si forma, come sappiamo, con altre modalità.

Con correttezza si afferma, ed è noto, che per la costituzione del condominio non occorre una manifestazione di volontà dei singoli proprietari affinché entrino in funzione le regole previste dagli articoli 1117 e ss c.c., ma che la situazione di condominio edilizio si ha per costituita nel momento in cui l’originario unico proprietario procede al frazionamento della proprietà dell’edificio, trasferendo la proprietà ad altri soggetti.

Insomma il condominio si forma ex jure e facto esi applica la disciplina del codice civile se per le norme disponibili, per esempio l’art. 1123 c.c. (il pomo della discordia), non è disposto diversamente dal titolo o dal regolamento contrattuale.

Inoltre, coloro che acquistano l’appartamento o villetta, sottoscrivono l’adesione al consorzio obbligandosi a rispettare tutte le sue norme.

Se il costruito, con la terminologia a noi nota, è formato da più condomini edilizi, quindi appare la situazione del supercondominio e le regole di gestione sono state scritte nello statuto al momento della costituzione del consorzio, per esempio e per semplificare che tutte le spese si dividono in millesimi, anche quelle afferenti ai singoli edifici, senza distinzione di pertinenza di spesa a questa o quella palazzina, si pone il dubbio di quale regole applicare alla gestione e ripartizione delle spese.

Riassumendo il meccanismo delineato è il seguente: il gruppo d’imprenditori o investitori costituisce il consorzio – approva lo statuto con le regole di funzionamento e di ripartizione delle spese – i singoli acquirenti aderiscono al consorzio e si obbligano a rispettare lo statuto – i proprietari comunque si ritrovano in una situazione di condominio.

La giurisprudenza, pur alle volte oscillante, appare attestata sul principio in forza del quale il consorzio di urbanizzazione è una figura atipica nelle quale i connotati delle associazioni non riconosciute si coniugano con un forte profilo di realità ed il giudice, nell’individuare la disciplina applicabile deve aver riguardo, in primo luogo, alla volontà manifestata nello statuto e, solo ove questo non disponga, alla normativa delle associazioni o della comunione (fra le tante Cass. 9568/2017).

E’ stato poi ritenuto che la disciplina del condominio è legittimamente applicabile al consorzio costituito fra i proprietari d’immobili con la conseguente esclusione delle norme sulla comunione laddove esista una specifica disciplina in tema di condominio.

Ma sappiamo che “il diavolo si annida nei dettagli” così, ritornando al problema della ripartizione delle spese sorge la necessità d’indagare se i principi di ripartizione scritti nello statuto che proiettati nel condominio ex art. 1123 I° co. c.c., possono essere modificati, -laddove nuove esigenze di gestione o l’acquisita consapevolezza che al complesso costruito comunque vanno applicate le norme sul condominio negli edifici,- e ancora, a loro volta, possono essere nuovamente rimodificati applicando anche i principi della proporzionalità dell’ uso (art.1123 II° co. c.c.) e dell’uso parziale, cioè solo di un gruppo di proprietari (art. 1123 III° co. c.c.).

Pensiamo alla manutenzione straordinaria di una facciata di una singola palazzina e alla regola iniziale consortile che tutte le spese vanno suddivise fra tutti i proprietari in proporzione ai millesimi, sicuramente coloro che non risiedono in quella palazzina obietteranno che loro con quella spesa nulla hanno a che vedere. Però rimanendo la regola iniziale “non si può scappare” dalla contribuzione di tutti.

E se l’assemblea del consorzio con le sue regole modifica lo statuto? Oppure vi può provvedere il consiglio di amministrazione?

Tutto ciò può modificare l’iniziale regola di ripartizione in deroga all’art. 1123 c.c.?

Sarà allora da indagare se l’assemblea del consorzio o delibera del CDA a cui i consorziati proprietari hanno dato mandato, aderendovi, possa modificare l’iniziale norma nel rispetto dei principi del condominio che, come abbiamo visto, ex facto va applicata alla gestione del complesso.

Perché se è vero che la ripartizione delle spese necessarie alla conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni sono sostenute dai condomini in base al valore della proprietà di ciascuno ma, ricordiamoci, “salva diversa convenzione”; essendo i condomini comunque consorziati, possono vedersi modificata la “diversa convenzione a maggioranza” dalla delibera del consorzio?

Molto probabilmente si poiché i due istituti si compenetrano o meglio si coniugano come insegna la giurisprudenza che appare consolidarsi.

Ancora multiproprietà ed assemblea dei comproprietari
26 Mag

di Maurizio Voi

Nel primo intervento sulla “multiproprietà” avevamo accennato al fatto che alcune volte nei vari regolamenti si rinviene come l’assemblea dei proprietari sia sostituita dall’ invio di raccomandate di accettazione o meno dei bilanci e nomina o conferma dell’amministrazione.

Il processo di convocazione, verifica della corretta ricezione e deliberazione sui punti principali dell’ordine del giorno proposto è così totalmente delegato all’amministrazione senza possibilità di controllo.

Il controllo del processo decisionale nelle mani dell’amministrazione sembra giustificato da alcune clausole che rimandano al “mandato” in capo all’amministratore -che quindi è delegato a “fare” come meglio ritiene – con buona pace dell’art. 1105 terzo comma c.c.: “Per la validità delle deliberazioni della maggioranza si richiede che tutti i partecipanti siano stati preventivamente informati dell’oggetto delle deliberazioni” (si vogliamo applicare le norme sulla comunione, (cfr.cass.88/1515) ovvero dell’art.66 dacc e 1136 c.c. se vogliamo ritenere applicabili le norme sul condominio.

Ma nell’uno e nell’altro caso il problema della validità di un’assemblea di una “situazione immobiliare in comproprietà di beni” non cambia.

L’art. 1105 c.c. (ricordiamo che siamo nell’ istituto della Comunione in generale art. 1100-1116 c.c.) è chiaro nel riferirsi alle “delibere” intese come espressione della volontà di un consesso di persone che decidono dopo opportuna discussione, ed essa può solo avvenire in presenza per il confronto delle opinioni e contestuale calcolo delle maggioranzedemandato a soggetti terzi che non sia l’amministratore.

Altrimenti l’art. 1109 c.c. sulla “Impugnazione delle deliberazioni” quale decisione preceduta da discussione e ponderazione, non avrebbe senso giuridico. Anche per l’ enciclopedia  Treccani, delìbera s. f. indica la decisione di un organo collegiale.

Come già insegnava il Branca in: Comunione, Condominio negli edifici, Zanichelli,1982 sub. art.1105 pag.194, l’art. 1105 c.c.: “parla di deliberazioni che evidentemente solo da un assemblea possono uscire

Se l’art. 1100 c.c. “Norme Regolatrici” della comunione sembra autorizzare una diversa regolamentazione attraverso un “titolo” rispetto alla legge, la dottrina dubita nel ritenere che tutte le norme regolatrici siano dispositive; in particolare l’art. 1105 c.c. in quanto è  norma   a tutela della minoranza (per tutti, Branca, Comunione, Condominio cit. sub.1100, pag.47; Cian-Trabucchi, Commentario breve al Codice Civile, Cedam, sub art. 1100) è quindi indubbio che se la minoranza non può confrontarsi in un’ assemblea in presenza che poi deliberi con le maggioranze previste perché è esclusa quel tipo d’assemblea, l’articolo del regolamento  è nullo per contrarietà a norme imperative dell’ordinamento.

Nell’intenzione del legislatore deve ritenersi per principio che un confronto di idee debba comunque prevedere la presenza fisica (oggi anche in video conferenza) nello stesso luogo di più persone.

Ma la nullità di quegli articoli inseriti in datati regolamenti della multiproprietà si riverbera anche sulla validità del processo deliberativo che comunque abbia avuto corso.

Ormai è stato chiarito dalla Corte di cassazione che permane nell’istituto della proprietà comune (anche se le sentenze si riferiscono all’ art. 1137 c.c. -condominio) la categoria della nullità delle delibere, poiché essa è una categoria che non è monopolio del legislatore ma “scaturiscono spontaneamente dal sistema giuridico, al di fuori e prima della legge” (Cass. 921/23). Ritengo, con le parole della Suprema Corte, che quanto sopra abbiamo descritto sia un vizio “talmente radicato da privare la deliberazione “ (fatta per corrispondenza e scritta dall’amministratore) “di cittadinanza nel mondo giuridico”.

Multiproprietà, condominio, clausole vessatorie e codice del consumo
26 Mag

di Maurizio Voi

I principali problemi.

Forse i tempi sono maturi per affrontare seriamente i problemi di gestione ed amministrazione degli immobili in multiproprietà (o ad uso turnario) spesso inseriti in un più ampio complesso immobiliare (supercondominio).

I regolamenti di amministrazione della multiproprietà nati negli anni novanta sono stati “costruiti” per accentrare i poteri di gestione, rendere quasi impossibili le assemblee dei proprietari.

Si rinvengono poi clausole che precludono l’accesso all’appartamento nel periodo acquistato, se il proprietario è moroso nei pagamenti, venendo direttamente gestito dall’amministrazione.

La protezione per una amministrazione esclusiva e senza particolari vincoli di rendiconto nei confronti dei proprietari così come riconosciuti inderogabili dalle norme sulla comunione e sul condominio (Titolo VII, Capi I e II del codice civile) è poi blindata da clausole di arbitrato e diverso Foro di competenza, rispetto a quello ove è ubicato l’immobile (art.23 cpc) per l’eventuale instaurazione di un giudizio.

Il tutto per rendere quasi impossibile l’accesso alla giustizia ordinaria giurisdizionale del singolo proprietario poiché, quasi sempre,  l’arbitrato con sede in un luogo dove il potente imprenditore che ha venduto gli immobili ha la sua attività principale fa comprendere al cittadino la sua impotenza.

Così il multiproprietario si trova davanti ad un dilemma, accettare di pagare spese imposte e spesso abnormi per poter godere della vacanza nel periodo acquistato, non pagare e vedersi impedito l’accesso, ovvero reagire con costi di giustizia importanti magari sapendo che il giudizio arbitrale potrebbe non dargli soddisfazione vista la sede ove dover radicare il giudizio?

Perché spesso nei regolamenti della multiproprietà l’assemblea “in presenza” è sostituita da un voto da esprimere per raccomandata da inviare all’indirizzo dell’amministratore e l’eventuale invito a convocare   una classica assemblea ove poter confrontare le proprie idee ed interrogare l’amministrazione sui conti è subordinata ad una richiesta all’amministratore che deve essere presentata da un numero di proprietari quasi impossibile da contattare.

Attualmente i gestori delle multiproprietà infatti hanno buon gioco nell’opporre anche le norme sulla privacy per rifiutare l’invio degli indirizzi (opposizione che però non ha patria).

Norme imperative e nullità.

Ora è noto che gli appartamenti in multiproprietà sono inseriti in un edificio in condominio e, spesso, i condominii sono più di uno con spazi e servizi comuni (si pensi alle multiproprietà marine con piscine, spiaggia e servizi connessi) quindi supercondominio.

La cornice giuridica è complessa poiché la gestione dei singoli appartamenti in proprietà turnaria ha un regolamento, l’amministrazione delle parti comuni dell’edificio che contiene gli appartamenti (condominio) ha altro regolamento anche se spesso vi è commistione, il complesso dei condominii (supercondominio) dovrebbe avere altro tipo di regolamento.

Ma è chiaro che se nei vari regolamenti l’assemblea dei proprietari è sostituita da invio di raccomandate di accettazione o meno dei bilanci e nomina o conferma dell’amministrazione o vi sono clausole che violano i precetti inderogabili di legge sull’amministrazione (art.1117-1139 c.c.) siamo difronte a clausole nulle.

 Il problema è come poi reagire se il principio del Giudice naturale costituzionalmente garantito (art.25 Cost.) è sostituito da un giudizio arbitrale (artt.806 e ss c.c.) metodo alternativo di risoluzione delle controversie (ADR), che indica, quasi sempre, la sede del procedimento nello stesso luogo ove ha la sede legale la società che ha venduto le settimane e che, frequentemente, detiene la maggioranza delle quote e quindi controlla di fatto l’amministrazione.

Clausole vessatorie.

Le clausole che sostituiscono al procedimento giudiziario con il procedimento per arbitrato, con apposita clausola, ed indicano la sede del giudizio in un luogo diverso rispetto al luogo previsto dall’art.23 del codice di rito o domicilio del consumatore, sono vessatorie e devono aver formato oggetto di trattativa individuale per essere valide.

E’ quanto prevede il “codice del consumo” all’art.33 (d.l.vo 6.9.2005, nr.206, negli anni continuamente aggiornato).

L’art.33 lett. t) indica come vessatoria la deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria; la lett. u) stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diverse da quelle del domicilio del consumatore.

Tali deroghe vengono così inserite in articoli di chiusura dei regolamenti dei tre istituti sopra indicati (multiproprietà, condominio e supercondominio) che sono stati fatti accettare agli acquirenti al momento nel rogito d’acquisto – per scrittura privata – dal venditore che spesso non riuscendo o non volendo allocare tutte le settimane, rimane in una posizione economica e decisionale dominante.  

Cone accennato queste clausole non sono riportate nei contratti che trasferiscono la proprietà rogati con scrittura privata autenticata ex art.1350 c.c., ma inserite nei regolamenti richiamati al loro interno “per relationem” che si dice perfetta, diventando così, grazie alle successive adesioni, regolamenti di natura contrattuale.

Tale tecnica è stata ritenuta valida dalla giurisprudenza di legittimità con sentenze che risalgono nel tempo e non se ne è più discusso.

Ma un problema e grave, sussiste, perché senza apposita contrattazione (art.33 cod. consumo) l’acquirente non può comprendere il valore e la portata delle clausole come sbarramento alla tutela dei propri diritti (si pensi all’impugnazione dell’approvazione di un bilancio votato con raccomandata davanti agli arbitri e la richiesta di sospensione della delibera). Egli rimane così in balia di “gestori” che hanno buon gioco, richiamando quel regolamento, a rifiutare confronti e chiarezza nei conti.

L’indagine sulla vessatorietà delle clausole dei regolamenti della multiproprietà e condominio.

Ora una veloce ricerca giurisprudenziale porterà all’incontro con le sentenze della Suprema Corte che escludono la vessatorietà di queste clausole se inserite in un atto rogato da notaio.

In realtà queste sentenze si riferiscono ad “atti pubblici” mentre la compravendita stipulata con “scrittura privata autenticata” è altra cosa (e non risultano precedenti specifici) e, a mio avviso, apre la via all’ eccezione di invalidità di tali clausole perchè vessatorie, in quanto non oggetto di trattativa individuale (art.33 co.4 cod. consumo).

Inoltre i contratti di compravendita della multiproprietà possono inquadrarsi come contratti per adesione conclusi mediante moduli o formulari per disciplinare in modo uniforme quel particolare tipo di contratto, ed è quindi onere del venditore (“professionista” nella terminologia europea poi trasfusa nel codice del consumo) provare che le clausole siano state oggetto di trattativa separata con il consumatore (nel nostro caso l’acquirente) (art.33 5° co. cod. consumo).

E che il multiproprietario sia un consumatore e tutta la regolamentazione di protezione sia applicabile anche alle vendite in multiproprietà è legislativamente previsto dal d.lgs 23.5.2011 n.179.

Si potrebbe obiettare che la il codice del consumo è entrato in vigore nel settembre 2005 mentre prima erano in vigore altre norme: articoli da 1469bis a 1469sexies (introdotte nel 1996) e prima ancora l’art.1341 2° co. c.c., tutt’ora in vigore.

Ma la Suprema Corte a sezioni unite, nella sentenza n.14669 del 2003 quindi con riferimento all’art.1469bis c.c., all’epoca in vigore e che disciplinava la deroga alla competenza, ha enunciato il principio in forza del quale la citata norma (e aggiungiamo noi anche quella sull’arbitrato) ha natura di “norma processuale” e si applica alle cause iniziate dopo la sua entrata in vigore, anche se relative a controversie derivante da contratti stipulati prima.

In via analogica il principio è applicabile anche all’art.33 lett. t) e u) del codice del consumo.

Come reagire.

Le clausole di amministrazione della multiproprietà e del condominio (anche supercondominio) da noi indicate come nulle (per esempio l’assemblea che approva i bilanci per raccomandata, ma ve ne possono essere altre) possono essere attaccate in un procedimento giudiziario ex art. 1109 c.c. o 1137 c.c. nel luogo in cui ha sede l’immobile anche se la contestazione dovrebbe essere portata al giudizio degli arbitri  secondo il regolamento contrattuale approvato per relationem al momento dell’acquisto del bene immobile ad uso turnario.

Questo perché quelle clausole, a prescindere dal tempo in cui sono state sottoscritte, se non sono state oggetto di apposita contrattazione e separatamente approvate, sono vessatorie e quindi non opponibili al consumatore.

Naturalmente i procedimenti giudiziari hanno un costo ed è spesso elevato in rapporto alla quota del multiproprietario, così si potrebbe essere tentati a non reagire; ed è ciò che si pensò al momento della costruzione di quei regolamenti.

Ma con la costituzione di un’associazione per la tutela di tali diritti le prospettive potrebbero cambiare.

Condomini green ed energysharing; per ora in generale.
26 Mag

di Maurizio Voi

Affrontare il vasto campo delle case green volute dall’Europa che ha come finalità la trasformazione delle fonti di energia e la trasformazione del mercato non è impresa semplice; se poi consideriamo che l’ ”autoconsumo” come possibilità che porta, come primo riferimento, ad un gruppo di almeno due persone che svolgono collettivamente la produzione di energia e che si trovano nello stesso edificio o condominio, con i contrasti in giurisprudenza sull’uso del tetto e del lastrico solare, se non si cambia la visione e l’approccio nel senso voluto dall’ Europa, l’Italia, paese di condominii, si troverà in seria difficoltà.

Di certo siamo difronte ad una grande trasformazione e se i veri protagonisti: condomini ed amministratori, non si organizzano ora (il presente è d’obbligo) si ritroveranno esposti all’azione di operatori estranei al condominio il cui interesse non è proprio l’ “energysharing” (cioè la condivisione di energia in cui la collaborazione avviene in modo orizzontale “peer-to-peer”).

Quindi procederemo per gradi, addentrandoci sempre di più in questo vasto campo con l’avvertenza che le parole virgolettate ed in grassetto sono vocaboli tecnici di cui bisognerà prendere confidenza.

La Direttiva 2018 dell’ Unione Europea (c.d. REd.II)  sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili è stata attuata in Italia con il Decreto Legislativo del novembre 2021, per quanto riguarda l’ “autoconsumo” e le “comunità energetiche rinnovabili” è entrato in vigore tra l’aprile 2022 e l’aprile 2023.

Il primo impulso però si ritrova del Decreto Legge del dicembre 2019 che nelle more del recepimento della Direttiva RED II aveva fornito le prime istruzioni per l’associazione ed autoconsumo dei “clienti finali” cioè coloro che producono energia da fonti rinnovabili per esigenze proprie e il surplus immetterlo nella rete.

In gergo sono definiti “prosumer” cioè soggetti che nello stesso tempo producono e consumano energia e sono in grado di generare benefici sociali che scaturiscono da nuovi modelli di “sharing economy” (interessante è lo studio di Marisa Meli, in le Nuove Leggi Civili commentate, maggio 2020).

L’art.30 del D.lvo 2021 dispone che gli autoconsumatori devono trovarsi nello stesso edificio o condominio.

L’art. 1122bis del codice civile è intitolato: “Impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili” così è consentita, sulle parti comuni, “l’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare, su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell’interessato.”

L’art.1122bis specifica il principio generale dell’art. 1102 c.c.: “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.” , principio applicabile anche al condominio e tale facoltà, nell’interpretazione della giurisprudenza,  è chiarita come  “conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione compatibile con i diritti degli altri…i rapporti condominiali sono informati al principio di solidarietà il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione, qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune………(cass.12/14107– cass.22/290)”.

Principio che si ritrova nelle pronunce sull’utilizzazione del tetto da parte del singolo condomino, a volte ammettendolo, altre volte negandolo.

Ora l’energy sharing caro all’Europa come finalità del processo di transizione per una strategia di energia pulita per tutti gli europei dovrà essere sempre tenuto presente nel momento in cui si inizierà a progettare l’impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio dovendosi tener conto di tutti i comproprietari, cittadine europei a cui sono diretti i provvedimenti.

Sarà allora ancora corretto l’aggancio a quella parte del principio dei Giudici di legittimità che ritengono che: “qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune” (cass.12/14107) sia possibile un uso più “egoistico” del tetto, lastrico solare o oltra bene comune dando modo solo ad alcuni dei condomini di intervenire con una propria installazione per la produzione di energia rinnovabile?

Ritengo che ora sia necessario approfondire l’art.832 c.c. sul contenuto del diritto di proprietà nella parte in cui dispone che il diritto del proprietario di godere della cosa in modo pieno ed esclusivo vada coniugato “i limiti e l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico” poiché innanzitutto l’art.42 della Costituzione richiede di valutare la “funzione sociale” della proprietà privata e le norme dell’Unione europea sono in sé fonti di diritto.  

Quindi se la finalità del legislatore è l’energia pulita e l’obiettivo è di realizzare la transizione energetica verso un’economia a basse o ad emissioni zero di carbonio, l’edificio o condominio considerato per tutti i titolari del diritto di proprietà ne diviene il mezzo e il  tetto, lastrico solare o altro bene comune dovrà essere di utilità per tutti e non solo per alcuni poiché, a questo punto deve essere prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione potranno farne lo stesso o identico uso.

E’ nulla la clausola contrattuale che prevede la rinuncia dell’affittuario all’indennità per la perdita di avviamento.
09 Set

La questione trattata dalla sentenza in commento attiene ad un caso di indennità per perdita di avviamento, come disciplinata dalla legge 392/78.

La società conduttrice adiva il Tribunale di Bologna ai fini dell’accertamento del proprio diritto all’indennità di avviamento ex art 34, secondo comma, I. 392/1978 (legge equo canone), che prevede, in caso di cessazione della locazione di un immobile per uso commerciale, industriale o sportivo, il pagamento di 18 mensilità dell’ultimo canone corrisposto, e per la conseguente richiesta di condanna della controparte (società locatrice) al pagamento della somma dovuta per detta indennità.

La proprietaria infatti aveva corrisposto la somma dovuta ai sensi del comma 1 dell’articolo 34 l. 392/78 per la perdita di avviamento, ma aveva rifiutato il pagamento della somma aggiuntiva disciplinata dal comma 2 del medesimo articolo dovuta per la locazione dei locali ad attività analoga a quella della locataria.

In particolare la società locatrice rifiutava il pagamento in forza della previsione contrattuale di cui all’articolo 5 del contratto di locazione stipulato tra le parti, il quale espressamente prevedeva che “Qualora al momento della cessazione del presente contratto – per qualunque causa ciò avvenga – la legge in vigore lo ritenesse valido, il conduttore rinuncia ora per allora a qualsiasi indennità, in quanto di ciò si è tenuto conto nella determinazione del canone di locazione”.

Il nucleo centrale della questione concerne quindi la possibilità o meno di rinuncia o limitazione alle indennità previste dall’art. 34 prima citato.

Inizialmente la decisione del Tribunale sosteneva la nullità della clausola, di cui all’articolo 5 del contratto locatizio, con conseguente condanna della proprietà locatrice al pagamento dell’indennità “aggiuntiva” prevista qualora l’immobile venga, da chiunque, adibito all’esercizio della stessa attività o di attività analoghe ed ove il nuovo esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione del precedente, (art 34 secondo comma l. 392/1978).

Tale decisione veniva riformata dalla Corte d’appello che affermò la validità della clausola e quindi il legittimo conseguente rifiuto della società locatrice al pagamento dell’indennità di cui all’ art. 34, limitatamente però all’indennità disciplinata dal primo comma l. 392/1978, e non incidente, invece, sull’indennità prevista dal secondo comma del medesimo articolo.

Le parti fecero quindi ricorso in Cassazione, la quale, a definizione della vicenda, ha sostenuto il contrasto della clausola contrattuale contenuta nell’articolo 5 del contratto di locazione con l’art. 79 della legge 392/1978 il quale prevede che “E’ nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge”.

Ritenendo in particolare la clausola contrattuale di rinuncia preventiva all’indennità per la perdita di avviamento come un “vantaggio” illegittimo in favore del locatore, la Corte ha concluso per la nullità di ogni patto che attribuisca al locatore appunto una posizione di vantaggio rispetto al conduttore tra cui la clausola di rinuncia preventiva all’indennità per la perdita di avviamento, e ciò con riferimento ad entrambe le indennità di cui al comma primo e secondo art. 34.

Per concludere, la Corte di cassazione ha dichiarato la nullità contrattuale della clausola contenuta nell’articolo 5 del contratto di locazione.

Di Avv. Jessica Vezzari con la collaborazione di Blanca Pighi

9. Riflessioni di condominio
01 Lug

Avverto che quelle che seguiranno sono semplici riflessioni teoriche prospettiche con lievissimi, agganci alla giurisprudenza di legittimità che, legata alla sua funzione nomofilattica, oltre non può spingersi.

E’ rispettata, fonte di approfondite analisi e anche autocritica, a volte non condivisa ma ciò è parte della dialettica.

Il superbonus attualmente impegna i professionisti del settore nel prevedere problemi e soluzioni teoriche a fatti che potrebbero accadere.

E’ una continua attività in divenire a volte superata il giorno dopo da una circolare dell’Agenzia delle Entrate, l’oracolo divenuto norma, a cui rivolgersi. Il senso giuridico di “circolare” ha così subito una mutazione genetica.

Guai a dirlo agli amministratori.

E’ dall’attuale “precario” assestamento del comma 9bis dell’art.119 del dl 34/2020 che prendono spunto queste riflessioni la dove è previsto che “l’assemblea del condominio” approvi a maggioranza “l’adesione all’opzione per la cessione o per lo sconto di cui all’art.121..” e che sempre a maggioranza possa approvare l’accollo a “uno o più condomini” dell’intera spesa” ma “a condizione che i condomini ai quali sono imputate le spese esprimano parere favorevole”.

Vorrei ricercare un senso ma un senso non lo ha (cit. Vasco Rossi).

L’assemblea di condominio o l’assemblea dei condomini?

L’art.1135 c.c. è rubricato: “Attribuzioni dell’assemblea dei condomini” e per la giurisprudenza il condominio non ha autonomia patrimoniale non è un ente di gestione (cass.su.9148/08).

Sicuramente non ha una personalità giuridica (respinta in sede di approvazione della l. 220/2012) il che lo porterebbe all’autonomia patrimoniale perfetta.

Siamo difronte ad una crisi del sistema al quale si è tentato di ovviare ricercando una soggettività giuridica del condominio (cass. su 19663/14).

Ma l’attuale contrapposizione tra diritto comune ed esclusivo è una precisa scelta del legislatore che non ha voluto investire “esplicitamente ed esclusivamente il condominio (e il suo amministratore) del potere di difendere le parti comuni (e i riflessi sulla proprietà dei singoli).” (cass. su 10934/19).

Se per sommi capi l’istituto è questo rigidamente blindato altroché crisi del sistema, direi confusione o, a necessità, per il legislatore di stravolgere i principi teorici, normativi e giurisprudenziali scolpiti sulle tavole della legge.

Si dirà che gli enunciati del comma 9bis -assemblea di condominio e sull’accollo – hanno carattere puramente enfatico perché comunque specificati dalla necessità che sia il singolo proprietario ad accettarlo seppur successivo al deliberato assembleare che comunque rimane incomprensibile.

Anche se vi può essere un passaggio della motivazione di cass.9463/04 che lascerebbe pensare, ad una veloce lettura, che rientrerebbero nella competenza dell’assemblea le spese fiscali afferenti alla sola gestione dei beni comuni (ma il tutto va ricondotto a quella precisa fattispecie che riguardava l’acquisto), non bisogna farsi fuorviare perché la “capacità contributiva” è requisito legittimante il prelievo (A. Giannini: Soggettività tributaria, enciclopedia Treccani).

Ed il centro di imputazione di questa situazione giuridica, quale terminale tributario è il singolo.

Ma se è anche vero che il diritto tributario si può riferire a situazioni giuridiche non qualificabili o non qualificate come soggetti in altri settori, è sempre necessario che siano centri d’imputazione d’interessi, di capacità contributiva ed autonomia patrimoniale (sempre Giannini) ecco che il condominio ne è escluso, anche perché è lo stesso legislatore che lo esclude.

Siamo quindi ad una tensione, oltre misura, del sistema condominio dove ad ogni situazione di “gestione” dei beni e servizi che lo identificano, per interessi della comunità o dei singoli, vengono ignorati i principi fondanti.

Ma sono proprio i principi fondanti che oggi, indirettamente, appaiono essere messi in crisi dai superiori interessi della comunità dall’ambiente ai singoli.

E allora non è forse da ripensare all’istituto prevedendone espressamente la sua personalità giuridica, una autonomia patrimoniale, una rivisitazione delle regole sulle delibere e sulle maggioranze per rendere il sistema più reattivo alle nuove situazioni?

Ormai la “gestione ordinaria” del condominio sta diventando subordinata alle “gestioni straordinarie” di rinnovamento o ammodernamento del patrimonio edilizio e non è detto che il sistema regga.

Avvisi ci arrivano già dalla giurisprudenza di merito proprio sulla coibentazione delle parti comuni che potrebbero compromettere lo spazio d’aria del poggiolo, restringendolo; allora cosa succederebbe ad interventi effettuati con una causa in corso se i Supremi Giudici ritenessero quella delibera di efficientamento che comprime il diritto di proprietà nulla? Si staccano i pannelli?

Maurizio Voi

Nulla la clausola di esonero dal pagamento delle spese condominiali in favore del costruttore per gli immobili invenduti
29 Giu

Con l’ordinanza n.20007/2022 la Suprema Corte ha confermato l’orientamento ormai maggioritario, secondo il quale la clausola di esonero dal pagamento delle spese condominiali predisposta dal costruttore dell’edificio in sede di regolamento, deve ritenersi nulla, poiché in violazione dell’art. 33 del Codice del Consumo.

Una siffatta clausola infatti potrà ritenersi efficace solo laddove il Costruttore dimostri che la stessa è stata oggetti di specifica trattativa. Inoltre dovrà essere dimostrato che dalla clausola di esenzione alla contribuzione delle spese in favore del costruttore, derivi un analogo vantaggio in favore degli altri condomini, al fine di non squilibrare il sinallagma contrattuale tra le parti

In caso contrario infatti la clausola è da considerarsi vessatoria in quanto andrebbe a violare l’articolo 33 del Codice del Consumo che prevede che “Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.”.

Sulla scorta della disposizione in parola la Corte di Cassazione ha evidenziato che “la clausola provoca un significativo squilibrio” non tanto  negli obblighi di contribuzione derivanti dagli articoli 1118 e 1123 Codice civile, ma “dei diritti e degli obblighi derivanti, ai sensi degli articoli 1476 e 1498 Codice civile, dal contratto di compravendita concluso tra il venditore professionista e il consumatore acquirente”.

Il conduttore non ha legittimazione nei confronti del condominio all’installazione di pannelli fotovoltaici
29 Giu

Il Tribunale di Roma  con la sentenza 9316/2022 si è occupato del caso riguardante l’installazione dell’impianto fotovoltaico in un condominio, precisando che solo il condomino-proprietario e non anche il conduttore, dispone della legittimazione a poter richiedere l’autorizzazione ex art. 1122 bis c.c. all’installazione sulle parti comuni condominiali di un impianto fotovoltaico a servizio dell’unità immobiliare in proprietà esclusiva.

Il conduttore, dunque, secondo il giudice capitolino, non ha legittimazione diretta nei confronti del condominio ai fini dell’installazione di pannelli solari adibiti al risparmio energetico del singolo immobile.

Ne discende pertanto che non sia possibile da parte del conduttore richiedere un indennizzo pari alla somma di denaro che si sarebbe risparmiata conseguentemente all’installazione dell’impianto proprio in quanto nessun diritto può vantare il conduttore nei confronti dell’ente condominiale.

https://vimeo.com/678134901?embedded=true&source=vimeo_logo&owner=109097280
17 Mar

Voi Carcereri Associati, nella persona del nostro avv. Matteo Carcereri, è stata lieta di partecipare all’evento in diretta streaming del 16.03.2022, organizzato da DAS Difesa Legale, per parlare di superbonus con gli operatori del settore nel ciclo di eventi “La parola agli esperti”.

L’intera puntata è visibile qui

Sul supercondominio in generale – l’amministratore
10 Mar

Nell’intervento precedente (GIGA n.16, febbraio 2022, da ora anche nel sito ANACI Veneto, www.anaciveneto.it) si era annotato come per  l’art.67 3° co. dacc – primo capoverso: “Nei casi di cui all’articolo 1117-bis del codice, quando i partecipanti sono complessivamente più di sessanta, ciascun condominio deve designare, con la maggioranza di cui all’articolo 1136, quinto comma, del codice, il proprio rappresentante all’assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell’amministratore. In mancanza, ciascun partecipante può chiedere che l’autorità giudiziaria nomini il rappresentante del proprio condominio.

L’amministratore è quindi nominato dall’assemblea dei rappresentanti dei singoli condominii ed è l’unico soggetto dotato di rappresentanza verso i terzi e autonoma legittimazione attiva in ordine ad ogni controversia inerente i beni e servizi comuni al supercondominio.

 Per le ultime pronunce della giurisprudenza si deve così escludere una legittimazione diretta degli altri amministratori (“rappresentanza reciproca” o “legittimazione sostitutiva”) (Cass. 21/40857 e CdA Torino 20/953).

Con la dottrina maggioritaria, nell’interpretazione del disposto dell’art. 67 dacc c.c.  (R. Amagliani, Brevi note in tema di amministratore del supercondominio, in Giust. civ., 2016; R.Triola,  Il Supercondominio in Il nuovo condominio, II^ ed. Giappichelli, 2017),  è da intendersi che la nomina dell’amministratore è obbligatoria quando i proprietari facenti parte del supercondominio sono “complessivamente più di sessanta” dovendoli considerare appunto, nel loro generale complesso e non con riferimento ai singoli edifici componenti o meno il supercondominio.

Cioè il complesso di più edifici non deve essere obbligatoriamente formato da condomini, ma può ben essere formato anche da uno o più condominii e edifici unifamiliari, l’importante è che la somma dei proprietari dia più di sessanta.

Per il richiamo dell’art. 1117bis c.c. anche in questo ambito deve applicarsi, in via analogica, l’art. 1129 I° co. c.c. che fa riferimento ai condomini; gli eventuali proprietari di unità immobiliari singole ed autonome devono qui essere considerati come condomini del supercondominio.

L’amministratore del supercondominio è nominato dall’assemblea dei rappresentanti dei singoli condominii

L’art. 67 IV° co. dacc   dispone però che ogni limite o potere di rappresentanza eventualmente conferito al rappresentante del singolo condominio che si presenta in assemblea per la nomina dell’amministratore “si considera non apposto”.

Quindi è illegittima, eventualmente, una delibera preventiva dell’assemblea di un condominio che indichi al rappresentante il nome dell’amministratore da votare; il rappresentante è così svincolato dal “potere di rappresentanza” ex art. 1387 c.c., perché quel potere non gli è conferito espressamente che anzi lo esclude.

Infatti per il codice civile il “potere di rappresentanza (art. 1387 c.c.) è conferito dalla legge ovvero dall’interessato”.

Se l’assemblea del singolo condominio deliberasse comunque una procura al rappresentante indicando il nome dell’amministratore da votare, ci si potrebbe trovare difronte ad una delibera invalida poiché ex art. 1137 I° co. c.c. la delibera sarebbe in violazione della legge.

Indagheremo prossimamente se tale delibera debba ritenersi nulla o annullabile, o addirittura inconferente perché ciò avrebbe ripercussioni non indifferenti sull’assemblea ordinaria del supercondominio se adottata, in caso di annullabilità, 30 giorni dopo la comunicazione ai condomini non presenti all’assemblea del loro condominio.

Ma già possiamo evidenziare un dato non indifferente e cioè che se l’assemblea del supercondominio si svolge prima del trascorrere dei 30 giorni dell’assemblea già tenuta nel singolo condominio che ha conferito la procura per la nomina espressa di un amministratore, i rappresentanti si troveranno nell’impossibilità di procedere oltre nel caso in cui il voto del soggetto a cui è stata conferita l’esplicita procura sia determinante.

E’ da ritenere che il Presidente dell’assemblea dei rappresentanti non possa accogliere e quindi legittimare l’espressione di un voto di cui si ha conoscenza di una volontà imposta, ma considerata, inesistente (?) ex lege.

Il comma V° dell’art.67 dacc dispone inoltre che: “All’amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea”.

Vi è quindi un divieto testuale di rappresentanza generale dell’amministratore del singolo condominio in seno al supercondominio (nello stesso senso anche  R. Amagliani, Brevi note in tema di amministratore del supercondominio, cit.) ma, a mio avviso, poiché la disposizione regola l’organo decisionale e gestorio del supercondominio, vale anche per l’inverso, cioè l’amministratore del supercondominio non può avere deleghe per partecipare all’assemblea dei singoli condominii.

E approfondendo appare che non può nominarsi come amministratore del supercondominio uno degli amministratori dei singoli condominii anche se, in ipotesi, la nomina è votata dai rappresentanti.

Infatti, come a breve vedremo, si evidenzierebbe subito un conflitto d’interessi potenziale sia nell’amministrazione delle parti e servizi comuni anche con riferimento agli atti conservativi, sia nella gestione puramente amministrativa del complesso.

 I poteri gestori dell’amministratore del supercondominio (le attribuzioni) sono mutuati dall’art. 1130 c.c. ivi compresa la tenuta dei registri dell’anagrafe dei condomini perché in caso di manutenzioni straordinarie, che sono escluse dalla competenza dell’assemblea dei rappresentanti, dovranno essere convocati tutti i condomini.

Tra le attribuzioni principali dell’amministratore del supercondominio vi è quella di “riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni” (art.1130 I° co n.3) c.c.

Ora se nella costruzione del legislatore il supercondominio è ente sovraordinato rispetto ai singoli condominii che lo compongono (si rimanda a: Sul supercondominio in generale (1), in GIGA n.15 gennaio 2022), dove i singoli edifici in condominio ex art. 1117 c.c.  ivi sono rappresentati, l’eventuale azione per il recupero degli oneri condominiali andrà rivolta verso il singolo condominio rappresentato dal suo amministratore e non pro quota di supercondominio nei confronti del condomino moroso.

E qui si evidenzia subito il possibile conflitto d’interessi se la figura dell’amministratore del supercondominio e del singolo coincidessero.

L’amministratore del supercondominio, per la gestione ordinaria, non ha nessun rapporto con il singolo condomino ma solo con il condominio; l’argomentazione è anche data dal fatto che sono i “rappresentanti” che approvano per il loro edificio: “la gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii” (art.67 IV° co. dacc).  

Così in analogia con l’art.63 dacc, solo in questo caso, l’eventuale ingiunzione andrà rivolta verso il singolo condominio.

Non è quindi semplice la gestione del supercondominio da parte dell’amministratore incaricato poiché presuppone una profonda conoscenza delle dinamiche di gestione del singolo condominio che poi si dilatano con interessanti riflessi giuridici, economici e fiscali all’interno dell’ente sovraordinato.

Anche i rapporti e la comunicazione con i “rappresentanti” non è da sottovalutare, specialmente nei grandi complessi perché questi nella costruzione “pasticciata” del comma 4° dell’art.67 dacc sembrerebbero autonomi rispetto ai comproprietari del loro condominio, nel senso apparente di una formazione della volontà di gestione del supercondominio disgiunta dalla volontà espressa a maggioranza dell’assemblea del condominio di cui appartengono.

Altro importante aspetto che si approfondirà nei prossimi contributi.

Maurizio Voi