Superbonus: il termine del 31.12.2023 si avvicina. Quali soluzioni per i cantieri in difficoltà? Il risarcimento del danno secondo il Tribunale di Frosinone n. 1080/2023
17 Dic

di Avv. Matteo Carcereri

Sono moltissimi i condominii con cantieri Superbonus in Italia non ancora ultimati o, peggio ancora, fermi per i problemi finanziari dell’appaltatore/general contractor.

Come noto per poter beneficiare dell’aliquota massima di detraibilità nella misura del 110%, le spese – salvo auspicate proroghe dell’ultima ora – devono essere sostenute entro il termine del 31.12.2023, poichè quelle sostenute nel 2024 beneficeranno dell’aliquota del 70% per scendere al 65% nel 2025.

Gli interventi inoltre devono per forza essere ultimati (entro il 31.12.2025) per non incorrere nel rischio di ripresa da parte dell’Agenzia delle Entrate, dei crediti medio tempore erogati.

Quali possibili soluzioni si prospettano quindi per i committenti/condominii ?

1.La soluzione giudiziale:

Laddove il contratto d’appalto contenga clausole che consentano la risoluzione per inadempimento in caso di mancato rispetto del termine del 31.12.2023, sarà possibile agire giudizialmente per il risarcimento del danno.

Il danno può essere molteplice.

a) vi è il danno da perdita di chance, consistente nella minore aliquota di detraibilità delle spese sostenute che -salvo proroghe dell’ultima ora – dal 01.01.2024, scenderà da 110% a 70%, residuando la differenza non detraibile a carico del committente.

La recente pronuncia del Tribunale di Frosinone, n. 1080 del 02.11.2023, ha quantificato il danno, proprio nei maggiori costi risultanti in capo al condominio generati proprio dalla differenza di aliquota.

b) Analogo criterio valga anche per le connesse spese tecnico-professionali, parimenti detraibili al 70% nel 2024 (ed al 65% nel 2025) e costituenti ulteriore voce di danno.

c) vanno considerati poi eventuali danni materiali all’immobile in caso di lavori non conclusi, rinvenibili nei costi di ripristino. Si pensi ad esempio ad un cantiere “sismabonus” che si sia “arenato” dopo le prime demolizioni: l’immobile si troverebbe in stato peggiore di quello in cui versava prima dell’inizio dei lavori, generando così ora costi di ripristino.

Oltre alla soluzione giudiziale, ossia quella di convenire in giudizio l’appaltatore per eventuale inadempimento contrattuale e conseguente risarcimento del danno subito e subendo, la circolare dell’Agenzia delle Entrare n.13/E del 13.06.2023, fornisce lo spunto per soluzioni meno traumatiche.

2. Le varianti alla CILAS ed il cambio del General Contractor

a) La riduzione degli interventi: laddove i lavori siano in fase avanzata, e venga comunque garantito il requisito minimo del guadagno di almeno due classi di efficienza energetica con la prvisione di almeno un intervento “trainante”, è possibile ridurre i lavori previsti, eliminando quelli non strettamente necessari, mediante una variante alla CILAS, per consentire così di terminare i lavori entro il 31.12.2023. In tal modo è scongiurata la necessità di provvedere al pagamento di quella parte di prezzo (30%) che nel 2024 non sarà più detraibile.

La Circolare 13/E ha infatti chiarito che:

L’articolo 2-bis del d.l. n. 11 del 2023 reca una disposizione di interpretazione autentica secondo la quale la presentazione di un progetto in variante alla CILA, o al diverso titolo abilitativo richiesto in ragione della tipologia di intervento edilizio da eseguire, non rileva ai fini del rispetto dei termini previsti dall’articolo 1, comma 894, della legge di bilancio 2023. Con riguardo agli interventi su parti comuni di proprietà condominiale, non rileva, agli stessi fini, l’eventuale nuova deliberazione assembleare di approvazione della suddetta variante. In altri termini, ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile per gli interventi agevolabili di cui al primo periodo del comma 8-bis dell’articolo 119 occorre fare riferimento alla data di presentazione della originaria CILA di cui al comma 13-ter del medesimo articolo 119, o del diverso titolo abilitativo in caso di interventi di demolizione e ricostruzione, e, in caso di interventi condominiali, alla data della prima delibera di esecuzione dei lavori....

Al riguardo, si evidenzia, inoltre, che il comma 13-quinquies dell’articolo 119 del Decreto Rilancio prevede che, in caso di varianti in corso d’opera, queste possano essere comunicate alla fine dei lavori e costituiscono integrazione della CILA presentata. Qualora con riferimento agli interventi trainanti siano rispettate le condizioni previste dall’articolo 1, comma 894, lettere da a) a d), della legge di bilancio 2023, il Superbonus spetta con la medesima aliquota anche per le spese sostenute per gli interventi trainati effettuati sulle parti comuni dell’edificio nonché per quelli effettuati sulle singole unità immobiliari.

b) Il cambio del General Contractor: laddove il problema risieda nelle difficoltà finanziarie del General Contractor, non più in grado di sostenere spese per forniture e subappalti, sempre la Circolare 13/E chiarisce che una delibera di incarico a nuovo appaltatore non inficia la possibilità di beneficiare dell’aliquota massima di detraibilità, sempre ove ne sussistano gli altri presupposti.

La Circolare chiarisce infatti che “costituiscono varianti alla CILA, che non rilevano ai fini del rispetto dei termini previsti dall’articolo 1, comma 894, della legge di bilancio 2023, non solo le modifiche o integrazioni del progetto iniziale ma anche la variazione dell’impresa incaricata dei lavori o del committente degli stessi, nonché la previsione della realizzazione di interventi trainanti e trainati rientranti nel Superbonus, non previsti nella CILA presentata ad inizio dei lavori“.

Con il consenso quindi delle tre parti interessate, è possibile sottoscrivere un accordo trilaterale con cui il quale il nuovo appaltatore si sostituisca a quello originario, rivestendo il condominio in tale accordo, la qualità di contraente “ceduto”.

Il nostro studio ha già assistito imprese, condominii e privati nella consulenza contrattualistica in tema di cessione di contratti “Superbonus”.

Contattaci per una consulenza in materia.

Scarica qui il testo della Circolare 13/E dell’Agenzia delle Entrate del 13.06.2023

Le tre tipologie di tabelle millesimali: Cass. Civ. 29074/2023
17 Dic

di Avv. Matteo Carcereri

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 29074 del 19.10.2023, ha colto l’occasione per ricordare i principi sanciti dalla Cass. Civ. 7300/2010 in tema di tabelle millesimali e della oossbilità di loro revisione.

La Corte riepiloga che si possono individuare tre tipolgie di tabelle millesimali:

1) le tabelle convenzionali c.d. “pure”, caratterizzate dall’accordo con il quale “i condomini, nell’esercizio della loro autonomia”, dichiarano espressamente “di accettare che le loro quote nel condominio vengano determinate in modo difforme da quanto previsto dall’art. 1118 c.c. e art. 68 disp. att. c.c., dando vita alla “diversa convenzione” di cui all’art. 1123 c.c., comma 1, u.p.”: in questo caso, “la dichiarazione di accettazione ha valore negoziale e, risolvendosi in un impegno irrevocabile di determinare le quote in un certo modo, impedisce di ottenerne la revisione ai sensi dell’art. 69 disp. att. c.c.“;

2) le tabelle convenzionali c.d. “dichiarative”, che si differenziano dalle prime perché, “tramite l’approvazione della tabella, anche in forma contrattuale (mediante la sua predisposizione da parte dell’unico originario proprietario e l’accettazione degli iniziali acquirenti delle singole unità immobiliari, ovvero mediante l’accordo unanime di tutti i condomini), i condomini stessi intendono… non già modificare la portata dei loro rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio, bensì determinare quantitativamente siffatta portata (addivenendo, così, alla approvazione delle operazioni di calcolo documentate dalla tabella medesima)”: in detta ipotesi, “la semplice dichiarazione di approvazione non riveste natura negoziale, con la conseguenza che l’errore, il quale, in forza dell’art. 69 disp. att. c.c., giustifica la revisione delle tabelle millesimali, non coincide con l’errore vizio del consenso, di cui agli artt. 1428 c.c. e segg., ma consiste, per l’appunto, nella obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito”;

3) le tabelle c.d. “assembleari”, cioè adottate dall’organo collegiale del condominio con la maggioranza qualificata all’uopo richiesta, le quali risultano “pacificamente soggette al procedimento di revisione di cui al più volte menzionato art. 69”.

Scarica qui il testo integrale

E’ nulla la clausola contrattuale che prevede la rinuncia dell’affittuario all’indennità per la perdita di avviamento.
09 Set

La questione trattata dalla sentenza in commento attiene ad un caso di indennità per perdita di avviamento, come disciplinata dalla legge 392/78.

La società conduttrice adiva il Tribunale di Bologna ai fini dell’accertamento del proprio diritto all’indennità di avviamento ex art 34, secondo comma, I. 392/1978 (legge equo canone), che prevede, in caso di cessazione della locazione di un immobile per uso commerciale, industriale o sportivo, il pagamento di 18 mensilità dell’ultimo canone corrisposto, e per la conseguente richiesta di condanna della controparte (società locatrice) al pagamento della somma dovuta per detta indennità.

La proprietaria infatti aveva corrisposto la somma dovuta ai sensi del comma 1 dell’articolo 34 l. 392/78 per la perdita di avviamento, ma aveva rifiutato il pagamento della somma aggiuntiva disciplinata dal comma 2 del medesimo articolo dovuta per la locazione dei locali ad attività analoga a quella della locataria.

In particolare la società locatrice rifiutava il pagamento in forza della previsione contrattuale di cui all’articolo 5 del contratto di locazione stipulato tra le parti, il quale espressamente prevedeva che “Qualora al momento della cessazione del presente contratto – per qualunque causa ciò avvenga – la legge in vigore lo ritenesse valido, il conduttore rinuncia ora per allora a qualsiasi indennità, in quanto di ciò si è tenuto conto nella determinazione del canone di locazione”.

Il nucleo centrale della questione concerne quindi la possibilità o meno di rinuncia o limitazione alle indennità previste dall’art. 34 prima citato.

Inizialmente la decisione del Tribunale sosteneva la nullità della clausola, di cui all’articolo 5 del contratto locatizio, con conseguente condanna della proprietà locatrice al pagamento dell’indennità “aggiuntiva” prevista qualora l’immobile venga, da chiunque, adibito all’esercizio della stessa attività o di attività analoghe ed ove il nuovo esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione del precedente, (art 34 secondo comma l. 392/1978).

Tale decisione veniva riformata dalla Corte d’appello che affermò la validità della clausola e quindi il legittimo conseguente rifiuto della società locatrice al pagamento dell’indennità di cui all’ art. 34, limitatamente però all’indennità disciplinata dal primo comma l. 392/1978, e non incidente, invece, sull’indennità prevista dal secondo comma del medesimo articolo.

Le parti fecero quindi ricorso in Cassazione, la quale, a definizione della vicenda, ha sostenuto il contrasto della clausola contrattuale contenuta nell’articolo 5 del contratto di locazione con l’art. 79 della legge 392/1978 il quale prevede che “E’ nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge”.

Ritenendo in particolare la clausola contrattuale di rinuncia preventiva all’indennità per la perdita di avviamento come un “vantaggio” illegittimo in favore del locatore, la Corte ha concluso per la nullità di ogni patto che attribuisca al locatore appunto una posizione di vantaggio rispetto al conduttore tra cui la clausola di rinuncia preventiva all’indennità per la perdita di avviamento, e ciò con riferimento ad entrambe le indennità di cui al comma primo e secondo art. 34.

Per concludere, la Corte di cassazione ha dichiarato la nullità contrattuale della clausola contenuta nell’articolo 5 del contratto di locazione.

Di Avv. Jessica Vezzari con la collaborazione di Blanca Pighi

9. Riflessioni di condominio
01 Lug

Avverto che quelle che seguiranno sono semplici riflessioni teoriche prospettiche con lievissimi, agganci alla giurisprudenza di legittimità che, legata alla sua funzione nomofilattica, oltre non può spingersi.

E’ rispettata, fonte di approfondite analisi e anche autocritica, a volte non condivisa ma ciò è parte della dialettica.

Il superbonus attualmente impegna i professionisti del settore nel prevedere problemi e soluzioni teoriche a fatti che potrebbero accadere.

E’ una continua attività in divenire a volte superata il giorno dopo da una circolare dell’Agenzia delle Entrate, l’oracolo divenuto norma, a cui rivolgersi. Il senso giuridico di “circolare” ha così subito una mutazione genetica.

Guai a dirlo agli amministratori.

E’ dall’attuale “precario” assestamento del comma 9bis dell’art.119 del dl 34/2020 che prendono spunto queste riflessioni la dove è previsto che “l’assemblea del condominio” approvi a maggioranza “l’adesione all’opzione per la cessione o per lo sconto di cui all’art.121..” e che sempre a maggioranza possa approvare l’accollo a “uno o più condomini” dell’intera spesa” ma “a condizione che i condomini ai quali sono imputate le spese esprimano parere favorevole”.

Vorrei ricercare un senso ma un senso non lo ha (cit. Vasco Rossi).

L’assemblea di condominio o l’assemblea dei condomini?

L’art.1135 c.c. è rubricato: “Attribuzioni dell’assemblea dei condomini” e per la giurisprudenza il condominio non ha autonomia patrimoniale non è un ente di gestione (cass.su.9148/08).

Sicuramente non ha una personalità giuridica (respinta in sede di approvazione della l. 220/2012) il che lo porterebbe all’autonomia patrimoniale perfetta.

Siamo difronte ad una crisi del sistema al quale si è tentato di ovviare ricercando una soggettività giuridica del condominio (cass. su 19663/14).

Ma l’attuale contrapposizione tra diritto comune ed esclusivo è una precisa scelta del legislatore che non ha voluto investire “esplicitamente ed esclusivamente il condominio (e il suo amministratore) del potere di difendere le parti comuni (e i riflessi sulla proprietà dei singoli).” (cass. su 10934/19).

Se per sommi capi l’istituto è questo rigidamente blindato altroché crisi del sistema, direi confusione o, a necessità, per il legislatore di stravolgere i principi teorici, normativi e giurisprudenziali scolpiti sulle tavole della legge.

Si dirà che gli enunciati del comma 9bis -assemblea di condominio e sull’accollo – hanno carattere puramente enfatico perché comunque specificati dalla necessità che sia il singolo proprietario ad accettarlo seppur successivo al deliberato assembleare che comunque rimane incomprensibile.

Anche se vi può essere un passaggio della motivazione di cass.9463/04 che lascerebbe pensare, ad una veloce lettura, che rientrerebbero nella competenza dell’assemblea le spese fiscali afferenti alla sola gestione dei beni comuni (ma il tutto va ricondotto a quella precisa fattispecie che riguardava l’acquisto), non bisogna farsi fuorviare perché la “capacità contributiva” è requisito legittimante il prelievo (A. Giannini: Soggettività tributaria, enciclopedia Treccani).

Ed il centro di imputazione di questa situazione giuridica, quale terminale tributario è il singolo.

Ma se è anche vero che il diritto tributario si può riferire a situazioni giuridiche non qualificabili o non qualificate come soggetti in altri settori, è sempre necessario che siano centri d’imputazione d’interessi, di capacità contributiva ed autonomia patrimoniale (sempre Giannini) ecco che il condominio ne è escluso, anche perché è lo stesso legislatore che lo esclude.

Siamo quindi ad una tensione, oltre misura, del sistema condominio dove ad ogni situazione di “gestione” dei beni e servizi che lo identificano, per interessi della comunità o dei singoli, vengono ignorati i principi fondanti.

Ma sono proprio i principi fondanti che oggi, indirettamente, appaiono essere messi in crisi dai superiori interessi della comunità dall’ambiente ai singoli.

E allora non è forse da ripensare all’istituto prevedendone espressamente la sua personalità giuridica, una autonomia patrimoniale, una rivisitazione delle regole sulle delibere e sulle maggioranze per rendere il sistema più reattivo alle nuove situazioni?

Ormai la “gestione ordinaria” del condominio sta diventando subordinata alle “gestioni straordinarie” di rinnovamento o ammodernamento del patrimonio edilizio e non è detto che il sistema regga.

Avvisi ci arrivano già dalla giurisprudenza di merito proprio sulla coibentazione delle parti comuni che potrebbero compromettere lo spazio d’aria del poggiolo, restringendolo; allora cosa succederebbe ad interventi effettuati con una causa in corso se i Supremi Giudici ritenessero quella delibera di efficientamento che comprime il diritto di proprietà nulla? Si staccano i pannelli?

Maurizio Voi

Nulla la clausola di esonero dal pagamento delle spese condominiali in favore del costruttore per gli immobili invenduti
29 Giu

Con l’ordinanza n.20007/2022 la Suprema Corte ha confermato l’orientamento ormai maggioritario, secondo il quale la clausola di esonero dal pagamento delle spese condominiali predisposta dal costruttore dell’edificio in sede di regolamento, deve ritenersi nulla, poiché in violazione dell’art. 33 del Codice del Consumo.

Una siffatta clausola infatti potrà ritenersi efficace solo laddove il Costruttore dimostri che la stessa è stata oggetti di specifica trattativa. Inoltre dovrà essere dimostrato che dalla clausola di esenzione alla contribuzione delle spese in favore del costruttore, derivi un analogo vantaggio in favore degli altri condomini, al fine di non squilibrare il sinallagma contrattuale tra le parti

In caso contrario infatti la clausola è da considerarsi vessatoria in quanto andrebbe a violare l’articolo 33 del Codice del Consumo che prevede che “Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.”.

Sulla scorta della disposizione in parola la Corte di Cassazione ha evidenziato che “la clausola provoca un significativo squilibrio” non tanto  negli obblighi di contribuzione derivanti dagli articoli 1118 e 1123 Codice civile, ma “dei diritti e degli obblighi derivanti, ai sensi degli articoli 1476 e 1498 Codice civile, dal contratto di compravendita concluso tra il venditore professionista e il consumatore acquirente”.

Il conduttore non ha legittimazione nei confronti del condominio all’installazione di pannelli fotovoltaici
29 Giu

Il Tribunale di Roma  con la sentenza 9316/2022 si è occupato del caso riguardante l’installazione dell’impianto fotovoltaico in un condominio, precisando che solo il condomino-proprietario e non anche il conduttore, dispone della legittimazione a poter richiedere l’autorizzazione ex art. 1122 bis c.c. all’installazione sulle parti comuni condominiali di un impianto fotovoltaico a servizio dell’unità immobiliare in proprietà esclusiva.

Il conduttore, dunque, secondo il giudice capitolino, non ha legittimazione diretta nei confronti del condominio ai fini dell’installazione di pannelli solari adibiti al risparmio energetico del singolo immobile.

Ne discende pertanto che non sia possibile da parte del conduttore richiedere un indennizzo pari alla somma di denaro che si sarebbe risparmiata conseguentemente all’installazione dell’impianto proprio in quanto nessun diritto può vantare il conduttore nei confronti dell’ente condominiale.

https://vimeo.com/678134901?embedded=true&source=vimeo_logo&owner=109097280
17 Mar

Voi Carcereri Associati, nella persona del nostro avv. Matteo Carcereri, è stata lieta di partecipare all’evento in diretta streaming del 16.03.2022, organizzato da DAS Difesa Legale, per parlare di superbonus con gli operatori del settore nel ciclo di eventi “La parola agli esperti”.

L’intera puntata è visibile qui

Sul supercondominio in generale (1)
19 Gen

di avv. Maurizio Voi

Una definizione di supercondominio (composta da soggetto, verbo e complemento) non è proprio rubricata nel codice al Capo dedicato al condominio, così come modificato dopo la riforma del 2012; R. Triola, Il Supercondominio in Il nuovo condominio, II^ ed. Giappichelli, 2017, ritiene comunque che il legislatore abbia dato una definizione di supercondominio nell’art. 1117 bis.

Vi è da considerare però che quando si tratta di regolare istituti giuridici complessi il nostro legislatore più che nella definizione si è sempre concentrato sul contenuto come ad esempio, per rimanere nel campo dei diritti reali, per la proprietà ove la rubrica dell’art. 832 c.c. è intitolata “contenuto del diritto” e la norma regola i diritti del proprietario.

I pronipoti del legislatore del 1942 hanno elaborato una contorta norma che enuncia come le disposizioni relative al capo dedicato al condominio (Capo II del Titolo VII, Libro III Della proprietà) si applicano, “in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c.”.

L’ambito di applicabilità delle norme sul condominio quindi supera il classico caso di pluralità di edifici, costituiti in distinti condomini, ma compresi in una più ampia organizzazione condominiale, (cosiddetti “supercondomini”), legati tra loro dalla esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni, in rapporto di accessorietà con i fabbricati (Cass.9096/2000), arrivando a comprendere situazioni immobiliari diverse dal classico condominio verticale o diviso in piani e quindi: villette a schiera; ciò che rimane in comune dopo la divisione e quindi scioglimento di un condominio ex art.61 e 62 disp. att. c.c. (Cass.65/80 a cui aderisce R.Triola, op.cit., p.30).

E così ogni qual volta “più unità immobiliari” o “più edifici” ovvero ancora “più condomini di unità immobiliari o edifici” abbiano in comune anche uno solo dei beni indicati nell’art.1117 c.c. (es. due villette a schiera composte di due unità ciascuna e poste l’una difronte all’altra, con in comune l’impianto elettrico o idrico) si devono applicare le norme sul condominio con una complicazione non indifferente circa l’amministrazione, la gestione e la ripartizione delle spese.

Ma la giurisprudenza si è spinta ancora oltre ritenendo come si devono applicare le norme sul condominio anche quando due condominii hanno in comune solo dei servizi (es. portierato, asporto rifiuti, illuminazione, Cass.19800/14 e nota di Paolo Scallettaris, in Giur. It., n.1, gennaio 2015 p.39).

Quindi quando due o più condominii hanno in comune i beni indicati dall’art. 1117 c.c. (o servizi) si applicano ex art. 1117 bis le norme sul condominio in quanto compatibili.

Prima del 2012 si riteneva che il supercondominio (o supercondominio, il primo lavoro sistematico sull’argomento si può far risalire a Rafaele Corona in Locazioni e Condominio, Quaderni, 18, Giuffrè, 1985) trovasse la sua genesi (o “base positiva”: Umberto Vincenti, Comunione residenziale, Cedam, 1995 p.45 e ss., richiamando il Corona), negli artt. 61 e 62 delle disposizioni di attuazione al codice civile.

Secondo l’art. 61 disp. att. c.c.: “Qualora un edificio o un gruppo di edifici appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio può essere sciolto e i comproprietari di ciascuna parte possono costituirsi in condominio separato.

Lo scioglimento è deliberato dall’assemblea con la maggioranza prescritta dal secondo comma dell’articolo 1136 del codice, o è disposto dall’autorità giudiziaria su domanda di almeno un terzo dei comproprietari di quella parte dell’edificio della quale si chiede la separazione”.  

Mentre l’art.62 disp. att. c.c. dispone che: “La disposizione del primo comma dell’articolo precedente si applica anche se restano in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dall’articolo 1117 del codice.  Qualora la divisione non possa attuarsi senza modificare lo stato delle cose e occorrano opere per la sistemazione diversa dei locali o delle dipendenze tra i condomini, lo scioglimento del condominio deve essere deliberato dall’assemblea con la maggioranza prescritta dal quinto comma dell’articolo 1136 del codice stesso.”.

Diviso e quindi sciolto l’originario edificio (in deroga all’art. 1119 c.c. che prevede l’indivisibilità delle parti comuni) se qualche bene ex art. 1117 c.c. (o servizio) rimane in comune per necessità tecnica insormontabile ecco che l’amministrazione -solamente di quel bene o servizio- si inquadra in un ente di livello “superiore” (da qui penso il lemma (latino) “super” anteposto al condominio, cioè: superiore, che sta più in alto, che sta sopra); comunque distinto dai singoli edifici come “organizzazione che si sovrappone a quella dei singoli condomini relativi agli edifici separati” (R.Corona, op.cit., nota 1 di pag.39).

La consolidata giurisprudenza non ha dubbi nel ritenere che per l’esistenza del supercondominio sia sufficiente la presenza anche solo di un bene materiale legato a distinti edifici in condominio in quanto necessario per l’utilizzazione del bene in proprietà esclusiva (meglio definita come relazione di accessorietà, Cass. 19558/13 e Cass.14791/03).

Come il condominio, l’ente superiore al condominio, nasce, come si dice ipso iure e facto se il titolo o la legge non dispongono altrimenti (Cass.19800/2015).

Sempre in generale, questa “fattispecie legale”, ha poi necessità di un amministratore, ma quando?

L’art.67 III° co. disp. att. c.c. dispone che quando i partecipanti sono più sessanta, ciascun condominio deve designare con la maggioranza di cui all’art. 1136, quinto comma, del codice, il proprio rappresentante all’assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell’amministratore.

Quindi parrebbe che solo quando i partecipanti al supercondominio sono più di sessanta sia obbligatoria la nomina dell’amministratore, ma se sono solo sessanta? Non è che la situazione residenziale sia meno complessa da gestire per cui la figura del professionista non è richiesta.

In una situazione residenziale complessa in cui sono presenti più edifici di cui uno con più di otto partecipanti (condominio verticale), una o più villette a schiera con meno di otto proprietari ma la cui somma è meno di 60 ma con impianti e servizi in comune (e non si tratta di un caso di scuola ma classiche situazioni marine, montane o lacustri, financo cittadine) la cui intestazione fiscale dei suddetti beni e servizi deve essere in capo ad un’ ente di gestione, chi decide chi fa cosa e chi paga visto il disposto dell’art. 67 III° co. disp. att. c.c.?

E ciò ci porta ad un’altra riflessione sulla necessità di indagare circa l’assemblea del supercondominio per la gestione ordinaria dello stesso visto che l’art. 1134 c.c. dispone che il “condomino che ha assunto la gestione delle parti comuni (e servizi ndr) senza l’autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea non ha diritto al rimborso, salvo che si tratti di spesa urgente.

Posto che vi sia stata “spesa urgente” il condomino contro chi agisce tenuto conto che manca l’amministratore e che la recente ordinanza della Suprema Corte  del 20.12.2021 n.40857, ad una prima lettura sembra ritenere legittimato passivo comunque la rappresentanza ex art.1131 c.c., l’amministratore del supercondominio.

Tutti temi questi di che ci proponiamo di approfondire.

Maurizio Voi

La revoca anticipata senza giusta causa dell’amministratore comporta il risarcimento del danno.
27 Mar

Commento a Cass. Civ. 7874/2021 di Avv. Matteo Carcereri

Importante novità dalla Suprema Corte con la pronuncia n. 7874/2021 che non mancherà di destare perplessità.

Quello che lega l’ammnustratore ai condomini è un rapporto di mandato a titolo oneroso, soggetto quindi non tanto alla disciplina dell’art. 2237 c.c. in tema di recesso del cliente dal contratto d’opera di prestazione intellettuale, quanto alla previsione dell’art. 1725 c.c. che statuisce espressamente che “La revoca del mandato oneroso, conferito per un tempo determinato( o per un determinato affare, obbliga il mandante a risarcire i danni, se è fatta prima della scadenza del termine o del compimento dell’affare, salvo che ricorra una giusta causa“.

Ne consegue che se è pur vero che l’assemblea può revocare l’amministratore in ogni tempo (art. 1129, X comma, c.c.), è altrettanto vero che il mandato dell’amministratore dura un anno (“e si intende rinnovato per egual periodo”).

La revoca anticipata senza giusta causa comporta quindi non solo il diritto dell’amministratore a percepire il compenso anche per il periodo residuo di durata del mandato, ma anche il diritto all’ulteriore risarcimento del danno che comuqnue va provato.

La Corte precisa che la giusta causa può coincidere indicativamente con quelle previste per la revoca giudiziale.

Consulenza Superbonus 110%
27 Mar

Il Decreto Rilancio ha introdotto una inedita opportunità di riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare usufruendo della possibilità di detrarre i costi in cinque anni nella misura del 110%.

In alternativa alla detrazione diretta, l’art. 121 consente al committente la possibilità di pagamento del prezzo d’appalto mediante le opzioni della cessione del credito fiscale o dello sconto in fattura.

A fronte di una così rilevante opportunità, il legislatore ha previsto una serie di requisiti per l’accesso all’agevolazione, introducendo inoltre gli adempimenti dell’asseverazione tecnica (relativa agli interventi di efficienza energetica e di riduzione del rischio sismico, atta a certififcare il rispetto dei requisiti tecnici necessari ai fini delle agevolazioni fiscali e la congruità delle spese sostenute in relazione agli interventi agevolati) e della trasmissione telematica del visto di conformità dei dati relativi alla documentazione, rilasciato dagli intermediari abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni (dottori commercialisti, ragionieri, periti commerciali e consulenti del lavoro) e dai CAF.

Numerosi sono gli adempimenti da curare rispetto ad un contratto d’appalto tradizionale, per cui risulta di vitale importanza assicurare contrattualmente il rispetto dei requisiti, dei termini di esecuzione delle opere, l’imputazione di responsabilità in caso di mancato accesso all’agevolazione.

Il nostro studio ha già prestato consulenza contrattualistica in tema di superbonus a condominii, privati, general contractor, imprese e professionisti ed organizzato webinar per la principale associazione di categoria in abito di gestione immobiliare.

Leggi qui i nostri articoli in materia di superbonus e contattaci gratuitamente per avere maggiori informazioni e previsione di costo per la consulenza.