Il limbo urbanistico di residence e insediamenti turistici
24 Giu

Convenzione di lottizzazione, opere di urbanizzazione primaria, inadempimento della P.A., risarcimento dei danni o sdemanializzazione: un problema per i villaggi turistici.

di Maurizio Voi

I comproprietari di importanti insediamenti turistici edificati negli anni ottanta nel pieno del boom dei villaggi all inclusive attratti dalle sirene dell’investimento a sicuro reddito di una proprietà marina inserita in un contesto di macchia mediterranea con all’interno tutti i servizi turistici come piscine, bar, ristoranti, negozi, anfiteatro e personale di manutenzione sempre disponibile, abbandonati dalle società e tour operaturs che garantivano annualmente quel redditoiniziata ex abrupto la nuova gestione diretta dei beni e immersi nella lettura degli atti di compravendita per comprendere i loro diritti, sono stati catapultati in un mare in tempesta e in pesanti oneri finanziari.

La costruzione di questi villaggi turistici nelle aree previste dai Piani Regolatori dei Comuni è avvenuta in base alla convenzione di lottizzazioneprevista dall’art. 28 della legge Urbanistica 1150/42.

È noto che l’autorizzazione comunale a lottizzare era subordinata alla stipula di una convenzione che doveva essere trascritta e che prevedeva, a spese del proprietario lottizzante, la cessione gratuita entro particolari termini delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, la cessione gratuita di una quota delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione secondaria.

Ivi anche l’assunzione degli onerirelativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte, in proporzione agli insediamenti, delle opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione o di quelle opere indispensabili perallacciare la zona ai pubblici servizi. 

Fin dalla Legge Urbanistica e poi con la legge 10 del 1977 il titolare della “allora” concessione edilizia aveva l’alternativa tra versare il contributo dovuto per gli oneri di urbanizzazione ovvero obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione seppure con le modalità e le garanzie stabilite dall’amministrazione comunale.

Accadeva che l’intervento di urbanizzazione veniva assunto dal lottizzante e concluse le opere queste dovevano essere collaudatedal Comune e quindi trasferite dal lottizzante all’amministrazione stessa. 

Con il trasferimento l’amministrazione avrebbe preso in carico le opere di urbanizzazione quali ad esempio gli impianti fognari, di depurazione, elettrici e di distribuzione dell’acqua, la manutenzione delle strade interne al comprensorio, avrebbe provveduto alla manutenzione e alla fornitura dei relativi servizi che sarebbero stati pagati dai possessori degli immobili attraverso le note tasse comunali.

Evaporata l’idea iniziale dell’investimento che avrebbe prodotto un continuo reddito per il futuro, garantito dai vari tour operators, siè andati via via scoprendo che i proprietari sarebbero stati costretti a gestire e finanziare direttamente gli alti costi di manutenzione delle opere essenziali alla utilizzazione della proprietà e che dette opere di urbanizzazione primarianon erano mai state trasferite al Comune e da questo prese in carico per la manutenzione. 

Quid iuris allora se la convenzione è ampiamente scaduta sono passati addirittura più di vent’anni e il peso della manutenzione dei servizi che il Comune avrebbe dovuto erogare non sono stati rispettati e sempre assunti e corrisposti dalle società private di gestione prima e dai singoli proprietari pro quota ora? 

La convenzione di lottizzazione

La convenzione di lottizzazione è uno strumento urbanistico finalizzato a suddividere il terreno in lotti fabbricabili e ad assicurare la conciliazione dell’interesse dei singoli privati lottizzanti con quello più generale di assetto urbanistico del territorio e in essa viene normalmente annoverata la cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria (C.15340/16).

La convenzione di lottizzazione ha la natura giuridica di un “accordo sostitutivo di provvedimento” disciplinato ora dall’art. 11 della Legge 241 del 1990 e prima dall’art.11 L. 10/1977 ed ha ad oggetto l’assunzione di obblighi a carico del proprietario lottizzante.

Come ha stabilito la Corte di Cassazione le convenzioni di lottizzazione costituiscono strumenti di pianificazione di tipo attuativo del PRG (Cass. civ. sez. un., 1262/00).

Le opere di urbanizzazione, comunque realizzate, anche cioè a scomputo totale o parziale degli oneri hanno sempre natura di opera pubblica.

Il dato sembra oggi pacifico ed anche nella giurisprudenza della Corte di Giustizia UE che ha chiarito comele opere di urbanizzazione sono da ritenerepubbliche fin dalla loro origine (sent. “Bicocca”).

Dal che si ricava, come ha chiaramente statuito la Corte di cassazione, che: è irrilevante che le opere suddette siano state eseguite su proprietà privata, e siano per questo, formalmente di proprietà privata prima del passaggio al patrimonio pubblico. (..) una volta fatte, non tollerano di rimanere in proprietà privata.

Ancora secondo i giudici di Strasburgo in virtù degli impegni sottoscritti dal lottizzante nell’ambito della detta convenzione (..)il Comune disporrà di un titolo giuridico atto a garantirli la disponibilità delle opere così individuate, in vista della destinazione pubblica delle medesime.

Nel limbo della lottizzazione

Normalmente le convenzioni di lottizzazione prevedono il passaggio gratuito al Comune delle opere nel termine massimo di dieci anni previo il collaudo definitivo che attesta che l’esecuzione delle stesse siano avvenute a regola d’arte e in conformità delle prescrizioni della convenzione.

L’accordo però quasi mai è lineare in quanto il Comune tende a riservarsi di accettare le opere di urbanizzazione appunto in seguito all’esito favorevole del collaudo.

Quali sono le conseguenze giuridiche e patrimoniali se il Comune una volta collaudate le opere non provvede alla presa in carico delle stesse e quindi alla destinazione pubblica? Trascorso il termine decennale indicato in convenzione il diritto del Comune è soggetto a prescrizione? 

Ma ancor più importante è l’aspetto economico – finanziario in quanto gli oneri di gestione e conduzione delle opere primarie rimangono in capo ai soggetti che nel frattempo sono divenuti proprietari dei beni ma che si trovano ancora nella condizione di lottizzanti verso la P.A. 

Secondo la giurisprudenza amministrativa le clausole sopra evidenziate modulando le reciproche obbligazioni tra privato e P.A, hanno il significato sostanziale di una rinuncia alla prescrizione ovvero di un concordato differimento del relativo termine di decorrenza sostanziale sine die: in quanto viene consentito al Comune di determinarsi in merito alla valutazione dell’adempimento convenuto senza la preventiva fissazione di alcun termine di decadenza.  

Questo stato di indeterminatezza, situazione sospesa, non è di poco conto specialmente sotto il profilo giuridico delle responsabilità in capo ai proprietari lottizzanti ex art. 2051 c.c. ma anche dalla responsabilità per l’esercizio da attività pericolose ex art. 2050 c.c. sol che si pensi alla conduzione di impianti di depurazione ove presenti negli insediamenti turistici.

Se poi protratto nel tempo sono tutti  da valutare, sotto il profilo economico – finanziario, gli esborsi dei proprietari ancora nel limbo della lottizzazione in relazione al fatto dell’ormai avvenuto pagamento alla P.A. del contributo ex art. 11 legge 10/77 ora art. 16 D.P.R. 380/2001 per il rilascio dell’allora concessione. 

Opera pubblica e demanio

Tentando una teorica soluzione un primo approccio potrebbe essere la richiesta di “sdemanializzazione” delle opere. 

È dato ormai acquisito che la convenzione inter partes ha costituito immediatamente un vincolo di uso pubblico sulle opere di urbanizzazione primaria indipendentemente dal formale passaggio di proprietà (in questa chiara direzione vi sono i T.A.R lombardi).

 Ex art. 822 c.2 e 824 c.c. tali beni divengono soggetti al regime del demanio pubblico ma non di quello indisponibile. Essi rientrano nella categoria del demanio accidentale seppur mancante della manifestazione di volontà con valore costitutivo che normalmente ne denomina la classificazione. 

Potrebbe essere allora possibile, mancando il formale doppio requisito della manifestazione di volontà dell’ente che si assume essere titolare del diritto reale pubblico intervenire per far accertare la sdemanializzazione tacita di tali beni ravvisando in maniera inequivocabile la mancanza di volontà dell’amministrazione di ritenere il bene a destinazione pubblica e quindi rinunciare definitivamente alla sua acquisizione e gestione. 

Accertamento dell’inadempimento del Comune, trasferimento coattivo e risarcimento del danno.

In questo cammino potrebbe essere possibile addentrarsi nei meandri dell’obbligo di adempimento della convenzione e del risarcimento dei danni.

Il punto di partenza è sempre la cessione gratuita all’amministrazione dell’aree necessarie per la realizzazione a scomputo delle opere di urbanizzazione che il lottizzante si è obbligato a realizzare all’interno del comparto. 

Solo il sommo poeta può mantenere in eterno le anime nel limbo(in quanto non battezzati), ma i lottizzanti con il collaudo hanno ottenuto il “giudizio di idoneità” formalmente valido per procedere al trasferimento dei beni al Comune.

Il nostro ordinamento è impostato sulla certezza dei rapporti giuridici e come ha già rilevato il T.A.R. dell’Emilia Romagna sez. di Parma (seppur nella fattispecie della convenzione di urbanizzazione) il perfezionamento del collaudo consente di dichiarare l’intervenuta accettazione implica delle opere di urbanizzazione e di trasferirle all’amministrazione.

Diverrebbe così anche ammissibile la domanda di risarcimento del danno per una responsabilità ex art. 1173 e 1218 c.c. per inadempimento degli obblighi convenzionalmente assunti nonché della violazione del principio di buona fede contrattuale ex art. 1173 c.c.

A questo punto però per gli organi di amministrazione degli insediamenti turistici sarà necessario valutare la competenza e la sostenibilità finanziaria dei Comuni nel prendere in carico le opere di urbanizzazione potendo essere più conveniente agire per la sdemanializzazione delle stesse.

Piano casa, credito edilizio e condominio
17 Giu

Le ultime novità legislative per il Veneto

di Maurizio Voi, partner di Voi Carcereri Studio Legale

Il 10 aprile 2019 è entrata in vigore la Legge Regionale del Veneto 14/2019 sulla riqualificazione urbana e la rinaturalizzazione del territorio.

La nuova legge supera e “stabilizza” la normativa sul “piano casa” del 2009 (L.R. 24/2009) ed è diretta a sostenere il settore edilizio, in coerenza con le disposizioni per il contenimento del consumo del suolo (L.R. 14/2017) che ha fissato l’obbiettivo di “suolo zero” entro il 2050.

Il nuovo dettato veneto sull’urbanistica implementa gli aspetti di riqualificazione edilizia, ambientale ed urbanistica (qualità tecnologica, sostenibilità ecologica ed energetica, sicurezza degli edifici, eliminazione delle barriere architettoniche) e prevede specifiche premialitàe incrementi volumetrici connessi all’utilizzo  di crediti edilizi da rinaturalizzazione.

 E’ sempre previsto l’ampliamento della volumetria degli edifici esistenti da un minimo del 15% a condizione che siano utilizzate le tecnologie per l’uso di fonte di energia rinnovabile con caratteristiche di prestazioni energetiche elevate ad un massimo del 50% fino al 31 dicembre 2020 se la prestazione energetica dell’intero edificio corrisponde alla classa A4.

La percentuale di ampliamento può arrivare al 60% in caso di utilizzo parziale od esclusivo dei crediti edilizi da rinaturalizzazione.

Il credito edilizio 

Il credito edilizioè stato introdotto dall’art.36 della L.r. 11/2004 come primario strumento di riqualificazione ambientale.

Già insigni amministrativisti si sono espressi su tale ectoplasma, soggetto evanescente, inconsistente dell’ordinamento veneto (per tutti ICacciavillani: “ll credito edilizio: figlio degenere della perequazione urbanistica, inwww.amministrativistiveneti.it) ma tant’è si è evoluto in credito edilizio da rinaturalizzazione.

Rimandando alla lettura dell’art.36 della L.r. 11/2004 per la sua definizione esso si può identificare come la cubatura edificabile che è una componente del diritto di proprietà (C.cost. 5/1980). Esso è liberamente commerciabile, va annotato in un apposito registro ed è un vero e proprio diritto reale che, ex art.2643 n.2bis c.c., è trascritto nei registri immobiliari.

Questa cubatura è quindi utilizzabile su aree edificabili previste dallo strumento urbanistico comunale.

Il credito edilizio da rinaturalizzazione è definito dalla lettera d) dell’art.2 del “nuovo” piano casa riveduto dalla L.r. 14/2019, come:

capacità edificatoria di cui al comma 4, dell’articolo 36, della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, riconosciuta dalla strumentazione urbanistica comunale in attuazione di quanto previsto dall’articolo 5, della legge regionale 6 giugno 2017, n. 14, a seguito della completa demolizione dei manufatti incongrui e della rinaturalizzazione del suolo, secondo quanto previsto dall’articolo 4.

La rinaturalizzazione del suolo secondo la lett.c) dell’art.2 L.r.14/2019 è un:

intervento di restituzione di un terreno antropizzato alle condizioni naturali o seminaturali di cui alla lettera a), del comma 1, dell’articolo 2, della legge regionale 6 giugno 2017, n. 14, attraverso la demolizione di edifici e superfici che hanno reso un’area impermeabile, ripristinando le naturali condizioni di permeabilità, ed effettuando le eventuali operazioni di bonifica ambientale; la superficie così ripristinata deve consentire il naturale deflusso delle acque meteoriche e, ove possibile, di raggiungere la falda acquifera.

Anche i crediti da rinaturalizzazione sono liberamente commerciabili e trascritti ai sensi dell’art. 2643 comma 2bisdel c.c. 

Il figlio degenere dell’edificio composto da più unità immobiliari

Ancor prima del concepimento dell’ampliamento dell’edificio multipiano o di case a schiera è necessario porsi il problema (e avvertiamo subito di non facile soluzione, anzi per I. Cacciavillani è un’aporia) se il generato in ampliamento -specialmente in un momento immediatamente successivo anche alla prima vendita- possa ab origine essere autorizzato dai nuovi comproprietari rinunciando ad ogni loro diritto.

L’intervento di ampliamento con piano casa per l’originario unico proprietario è sempre finalizzato al futuro aumento di valore commerciale la cui strategia è poi la vendita dei singoli appartamenti.

Con la prima vendita ipsofactonasce il condominio e se si tratta, come spesso accade, di sopraelevazione dell’ultimo piano, la preventiva autorizzazione dei futuri comproprietari è necessaria per non inciampare negli ostacoli posti dall’art.1127 c.c.

Così se l’ampliamento tende ad occuparetutto o in parte il volume edificabile dell’intero edificio che può essere realizzato anche separatamente per ciascuna unità, leggendo semplicemente il comma 8 dell’art.6 della L.r. 14/2019 ma identico al suo predecessore (art.2 L.r. 14/2009) sembrerebbe che compatibilmente con le leggi che disciplinano il condominio negli edifici, l’autorizzazione concessa dai futuri condomini all’atto delle compravendite sia necessaria e sufficiente all’intervento.

Ma la disciplina privatistica deve fare i conti con la normazione amministrativa e suoi corollari. 

Secondo la circolare esplicativa n.1 del 20.11.2014 della L.r. 32/2013 (modifica al primo piano casa del 2009) gli incrementi volumetrici realizzabili ai sensi del “piano casa” non sono autonomamente cedibili come crediti edilizi.Di conseguenza il progetto di ampliamento potrà non essere assentibile per eccesso di volume in quanto generato sull’intero edificio. E ciò nonostante la corretta autorizzazione ab origine del futuro condomino.

Quindi l’originario unico proprietario ex art. 1127 c.c., teoricamente, può sopraelevare -si intende nei limiti del piano casa- occupare l’area soprastante senza nulla dovere ai condomini che lo hanno preventivamente autorizzato e in pratica, gli hanno ceduto il loro credito edilizio, ma in realtà non lo può fare poiché l’autorizzazione della cessione della cubatura è credito edilizio in capo agli altri condomini (in percentuale millesimale) e questi condomini non lo possono cedere.

A nulla potrebbe valere il sostenere che anche tutti proprietari, per conformazioni tecniche dell’edificio e inutilizzabilità dell’area abilitata a riceverli, non potranno mai richiedere un piano casa.

Una soluzione tecnica giuridica che presupponga la fattispecie sopra riferita come case historyrisulta impossibile in partenza.

Le soluzioni dovrebbero essere propedeutiche all’intervento edilizio (a) o che l’ultimo piano dell’edificio sia destinato a cantine di pertinenza dei singoli appartamenti (b) essendo ipotizzabile: 

a) che l’originario proprietario preveda e faccia assentire l’ampliamento prima ancora della progettata vendita;

b) che tutti i proprietari delle cantine richiedano il piano casa e poi provvedano a cedere il volume edificato (6 comma circolare n.1 del 20.11.2014)