Sul supercondominio in generale (1)
19 Gen

di avv. Maurizio Voi

Una definizione di supercondominio (composta da soggetto, verbo e complemento) non è proprio rubricata nel codice al Capo dedicato al condominio, così come modificato dopo la riforma del 2012; R. Triola, Il Supercondominio in Il nuovo condominio, II^ ed. Giappichelli, 2017, ritiene comunque che il legislatore abbia dato una definizione di supercondominio nell’art. 1117 bis.

Vi è da considerare però che quando si tratta di regolare istituti giuridici complessi il nostro legislatore più che nella definizione si è sempre concentrato sul contenuto come ad esempio, per rimanere nel campo dei diritti reali, per la proprietà ove la rubrica dell’art. 832 c.c. è intitolata “contenuto del diritto” e la norma regola i diritti del proprietario.

I pronipoti del legislatore del 1942 hanno elaborato una contorta norma che enuncia come le disposizioni relative al capo dedicato al condominio (Capo II del Titolo VII, Libro III Della proprietà) si applicano, “in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c.”.

L’ambito di applicabilità delle norme sul condominio quindi supera il classico caso di pluralità di edifici, costituiti in distinti condomini, ma compresi in una più ampia organizzazione condominiale, (cosiddetti “supercondomini”), legati tra loro dalla esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni, in rapporto di accessorietà con i fabbricati (Cass.9096/2000), arrivando a comprendere situazioni immobiliari diverse dal classico condominio verticale o diviso in piani e quindi: villette a schiera; ciò che rimane in comune dopo la divisione e quindi scioglimento di un condominio ex art.61 e 62 disp. att. c.c. (Cass.65/80 a cui aderisce R.Triola, op.cit., p.30).

E così ogni qual volta “più unità immobiliari” o “più edifici” ovvero ancora “più condomini di unità immobiliari o edifici” abbiano in comune anche uno solo dei beni indicati nell’art.1117 c.c. (es. due villette a schiera composte di due unità ciascuna e poste l’una difronte all’altra, con in comune l’impianto elettrico o idrico) si devono applicare le norme sul condominio con una complicazione non indifferente circa l’amministrazione, la gestione e la ripartizione delle spese.

Ma la giurisprudenza si è spinta ancora oltre ritenendo come si devono applicare le norme sul condominio anche quando due condominii hanno in comune solo dei servizi (es. portierato, asporto rifiuti, illuminazione, Cass.19800/14 e nota di Paolo Scallettaris, in Giur. It., n.1, gennaio 2015 p.39).

Quindi quando due o più condominii hanno in comune i beni indicati dall’art. 1117 c.c. (o servizi) si applicano ex art. 1117 bis le norme sul condominio in quanto compatibili.

Prima del 2012 si riteneva che il supercondominio (o supercondominio, il primo lavoro sistematico sull’argomento si può far risalire a Rafaele Corona in Locazioni e Condominio, Quaderni, 18, Giuffrè, 1985) trovasse la sua genesi (o “base positiva”: Umberto Vincenti, Comunione residenziale, Cedam, 1995 p.45 e ss., richiamando il Corona), negli artt. 61 e 62 delle disposizioni di attuazione al codice civile.

Secondo l’art. 61 disp. att. c.c.: “Qualora un edificio o un gruppo di edifici appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio può essere sciolto e i comproprietari di ciascuna parte possono costituirsi in condominio separato.

Lo scioglimento è deliberato dall’assemblea con la maggioranza prescritta dal secondo comma dell’articolo 1136 del codice, o è disposto dall’autorità giudiziaria su domanda di almeno un terzo dei comproprietari di quella parte dell’edificio della quale si chiede la separazione”.  

Mentre l’art.62 disp. att. c.c. dispone che: “La disposizione del primo comma dell’articolo precedente si applica anche se restano in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dall’articolo 1117 del codice.  Qualora la divisione non possa attuarsi senza modificare lo stato delle cose e occorrano opere per la sistemazione diversa dei locali o delle dipendenze tra i condomini, lo scioglimento del condominio deve essere deliberato dall’assemblea con la maggioranza prescritta dal quinto comma dell’articolo 1136 del codice stesso.”.

Diviso e quindi sciolto l’originario edificio (in deroga all’art. 1119 c.c. che prevede l’indivisibilità delle parti comuni) se qualche bene ex art. 1117 c.c. (o servizio) rimane in comune per necessità tecnica insormontabile ecco che l’amministrazione -solamente di quel bene o servizio- si inquadra in un ente di livello “superiore” (da qui penso il lemma (latino) “super” anteposto al condominio, cioè: superiore, che sta più in alto, che sta sopra); comunque distinto dai singoli edifici come “organizzazione che si sovrappone a quella dei singoli condomini relativi agli edifici separati” (R.Corona, op.cit., nota 1 di pag.39).

La consolidata giurisprudenza non ha dubbi nel ritenere che per l’esistenza del supercondominio sia sufficiente la presenza anche solo di un bene materiale legato a distinti edifici in condominio in quanto necessario per l’utilizzazione del bene in proprietà esclusiva (meglio definita come relazione di accessorietà, Cass. 19558/13 e Cass.14791/03).

Come il condominio, l’ente superiore al condominio, nasce, come si dice ipso iure e facto se il titolo o la legge non dispongono altrimenti (Cass.19800/2015).

Sempre in generale, questa “fattispecie legale”, ha poi necessità di un amministratore, ma quando?

L’art.67 III° co. disp. att. c.c. dispone che quando i partecipanti sono più sessanta, ciascun condominio deve designare con la maggioranza di cui all’art. 1136, quinto comma, del codice, il proprio rappresentante all’assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell’amministratore.

Quindi parrebbe che solo quando i partecipanti al supercondominio sono più di sessanta sia obbligatoria la nomina dell’amministratore, ma se sono solo sessanta? Non è che la situazione residenziale sia meno complessa da gestire per cui la figura del professionista non è richiesta.

In una situazione residenziale complessa in cui sono presenti più edifici di cui uno con più di otto partecipanti (condominio verticale), una o più villette a schiera con meno di otto proprietari ma la cui somma è meno di 60 ma con impianti e servizi in comune (e non si tratta di un caso di scuola ma classiche situazioni marine, montane o lacustri, financo cittadine) la cui intestazione fiscale dei suddetti beni e servizi deve essere in capo ad un’ ente di gestione, chi decide chi fa cosa e chi paga visto il disposto dell’art. 67 III° co. disp. att. c.c.?

E ciò ci porta ad un’altra riflessione sulla necessità di indagare circa l’assemblea del supercondominio per la gestione ordinaria dello stesso visto che l’art. 1134 c.c. dispone che il “condomino che ha assunto la gestione delle parti comuni (e servizi ndr) senza l’autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea non ha diritto al rimborso, salvo che si tratti di spesa urgente.

Posto che vi sia stata “spesa urgente” il condomino contro chi agisce tenuto conto che manca l’amministratore e che la recente ordinanza della Suprema Corte  del 20.12.2021 n.40857, ad una prima lettura sembra ritenere legittimato passivo comunque la rappresentanza ex art.1131 c.c., l’amministratore del supercondominio.

Tutti temi questi di che ci proponiamo di approfondire.

Maurizio Voi

Il senso dell’amministratore di condominio per la professione intellettuale
10 Gen

Non sfugge agli specialisti del diritto di condominio la presa di posizione dei dirigenti di alcune importanti associazioni di rappresentanza degli amministratori di condominio all’indomani dell’ordinanza della Corte di cassazione del 19 marzo 2021 n.7874, Rel. A.Scarpa.

La Suprema Corte ha statuito che ad un amministratore di condominio, revocato dall’incarico senza giusta causa, sia dovuto anche il risarcimento del danno in applicazione dell’art. 1725 I co. c.c, riconoscendo l’istituto di un contratto tipico di amministrazione il cui contenuto è, nell’essenza, dettato dagli artt. 1129,1130 e 1131 c.c..

L’ordinanza così esclude, e qui è il “pomo della discordia” proprio nel senso del mito della mela lanciata da Eris per i protagonisti del dibattito in corso, che l’attività di amministratore di condominio non costituisce una prestazione d’opera intellettuale non essendo di conseguenza soggetta alle norme dettate in materia dal codice civile in materia (artt 2229-2238).

Per i Giudici di legittimità l’attività di amministratore di condominio rientra nell’ambito delle professioni non organizzate in ordini o collegi di cui alla legge 14.1.2013 n.4.

Infine con la recentissima sentenza n.36430 del 24 novembre 2021 la Suprema Corte ha sottolineato come la riforma dell’istituto del 2012 abbia rafforzato i caratteri professionali dell’attività di amministratore di condominio, delineandone una figura professionale autonoma.

Il confronto in atto tra amministratore professionista o (non) professionista intellettuale, che si sviluppa su un piano meramente giuridico tra associazioni e comunità giuridica, e qui pare lo si voglia mantenere, non tiene in considerazione la necessaria prospettiva economica generale ed economica aziendale dell’attività intesa nel senso classico scientifico delle definizioni generalmente accettate.

Non tiene altresì conto delle fonti comunitarie sul concetto di servizio professionale, inteso come prestazione di rilievo economico che non rientra nella nozione di merce o di capitale e che l’art.57 del Trattato sul funzionamento dell’ Unione Europea stabilisce che sono considerate come servizi le prestazioni fornite dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalla libera circolazione delle merci, dei capitali, e delle persone e che tra i servizi vi ricomprende anche le libere professioni.

La direttiva 2005/36/CE attuata in Italia con il dlgs 206/2007 ha qualificato le prestazioni intellettuali come servizi professionali. Su queste basi si è pronunciata anche la Corte di Giustizia europea che ha più volte ribadito come l’attività dei liberi professionisti si configura come attività d’impresa.

Chi scrive oggi si chiede se abbia ancora un senso continuare la ricerca ed il dibattito sull’attività di amministratore di condominio come professionista intellettuale o piuttosto iniziare seriamente ad esplorare ed analizzare con la scienza economica e di economia aziendale il complesso delle attività che il professionista offre con la sua attività necessaria per gli edifici in condominio.

Onde non cadere in strali ed equivoci ciò non vuol dire -se solo si vuol rimanere saldamenti ancorati alla normativa nazionale- che così argomentando si parifica la professione all’impresa aprendo la strada, in ultima istanza, anche al fallimento, perché anche ciò non è corretto.

In primo luogo perché il “fallimento” -quale espressione portatrice di un disvalore sociale – è stato superato dal legislatore con il codice della crisi d’impresa ed in secondo luogo che il codice della crisi per quanto riguarda i soggetti non fallibili si applica anche al professionista sia esso intellettuale o meno fino alle associazioni professionali oltre che al consumatore ed imprenditore agricolo (L.3/2012).

La ricerca e l’analisi dell’attività di amministratore di condominio deve quindi iniziare a volgere lo sguardo verso altre componenti dell’attività in sé considerata, per esempio anche, e si sottolinea anche, verso i molteplici sottoinsiemi economici (property manager) per uno sviluppo più competitivo della professione nel senso europeo sopra descritto.

Forse oggi -ed è qui la partenza a mente libera ma curiosa- è giunto finalmente il momento di non mantenere ancorata la professione al solo condominio e in tale esercizio irrigidirsi sull’intellettualità di origine ottocentesca, ma iniziare ad analizzare anche nuove competenze che, se ben sviluppate, porterebbero ad un innalzamento del profitto, rispetto alla sola amministrazione di condominio.

Infine un’ulteriore considerazione economica: se un professionista nell’amministrazione di condominio viene incaricato della gestione di un’importante complesso ex art. 1117 bis c.c. che necessità di un particolare ed oneroso investimento economico della propria attività interna, ed attuato l’investimento, poco dopo, senza giusta causa viene revocato nell’incarico, di certo sarà più tutelato dall’art. 1725 I° co. c.c. che prevede il risarcimento dei danni, che dall’art.2237 c.c. (norma applicabile per le sole professioni intellettuali) che riconosce il pagamento della sola opera svolta, oltre al rimborso delle spese effettivamente sostenute per il periodo.

Maurizio Voi