Del Supercondominio in generale – L’assemblea (2)
12 Feb

L’art .67 3° co. dacc – primo capoverso – dispone che: “Nei casi di cui all’articolo 1117-bis del codice, quando i partecipanti sono complessivamente più di sessanta, ciascun condominio deve designare, con la maggioranza di cui all’articolo 1136, quinto comma, del codice, il proprio rappresentante all’assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell’amministratore. In mancanza, ciascun partecipante può chiedere che l’autorità giudiziaria nomini il rappresentante del proprio condominio.”  

Quindi in un supercondominio, a prescindere dalla esistenza di più unità immobiliari con più di otto condomini per cui è necessaria la nomina dell’amministratore (art.1129 I° co. c.c.) quando la somma dei “partecipanti” all’ente sovraordinato è più di 60 scattano le procedure di amministrazione – assemblea e amministratore (in tal senso anche R. Amagliani, Brevi note in tema di amministratore del supercondominio, in Giust. civ., 2016 a cui aderisce anche R.Triola, ; R. Triola, Il Supercondominio in Il nuovo condominio, II^ ed. Giappichelli, 2017).

Già solo soffermandoci su tale necessità si evidenziano una serie di problemi non indifferenti che la letteratura giuridica, quasi sempre avulsa dalle necessità pratiche, non scandaglia.

La prima è che i condomini siano fino a 60, per cui la convocazione dei rappresentati degli edifici per la gestione ordinaria non è richiesta; andranno convocati tutti i proprietari.

Se è corretto che ciascun proprietario possa prendere l’iniziativa per la convocazione (argomento tratto dll’art.66 II° co. dacc), soggiunge il problema dei dati necessari alla convocazione di tutti i condomini e dei costi da sostenere.

Nella pratica capita ormai raramente, almeno un condominio facente parte del complesso ha un amministratore che potrà coordinare la convocazione dell’assemblea per poi però non potendovi partecipare (art.66 8° co dacc), ma il problema rimane, non fosse altro per la “regia” in sede di assemblea: controllo convocazioni – verbalizzazione ecc. ecc.

La seconda: posto che il 3° comma dell’art.67 dacc si riferisce alla presenza di più di 60 condomini “complessivamente” e non è detto che i singoli edifici sommino ciascuno più di 8 partecipanti per l’obbligatorietà dell’amministratore che è  “motore degli adempimenti” per il supercondominio, com’è possibile iniziare le procedure per l’attivazione della gestione del supercondominio: nomina dei rappresentati per ogni edificio, convocazione dell’assemblea, decisioni di amministrazione ordinaria?

Siccome ancora la riforma dell’istituto del condominio del 2012 sconta l’idea del “buon samaritano condomino” (si veda l’obbligatorietà dell’amministratore che passa da più di quattro condomini a più di otto e che cmq il proprietario può amministrare il suo condominio anche senza i requisiti dell’art.71 bis dacc), bisognerà che un buon smaritano cominci a convocare la sua assemblea per la nomina del rappresentate e che gli altri lo seguano fino a costruire “l’insieme” da convocare nell’assemblea del supercondominio.

Tutto ciò a tacere sulle complessità di ricerca degli indirizzi e costi di convocazione.

Ma se anche uno solo degli edifici componenti il complesso non nomina il rappresentante, il sistema rischia di andare in stallo posto che, in prima battuta, sono solo i partecipanti al “proprio condominio” che possono rivolgersi al Tribunale per la nomina, mentre nell’inerzia di costoro sarà sempre il Tribunale, questa volta su ricorso anche di solo uno dei rappresentanti già nominati (art. 67, 3° co. dacc) a procedere all’individuazione e nomina del rappresentante.

Tenuto conto dei tempi di convocazione del Collegio del Tribunale competente per i decreti necessari, vi è il rischio della paralisi per molti mesi.

Nel frattempo l’assemblea del super condominio è competente solo per la gestione ordinaria e nomina dell’amministratore, quindi servizi essenziali di base al complesso come manutenzione del verde, pulizia box e spazi comuni, magari raccolta rifiuti, guardiania, ecc. ecc..

E l’amministratore è figura necessaria e centrale, di rappresentanza dell’ente sovraordinato verso i terzi che opera quanto alle attribuzioni (art.1129-1130-1120bis c.c.) e legittimazione (art. 1131 c.c.) analogamente all’amministratore di condominio.

Lo stallo nella gestione dei servizi potrebbe portare a spiacevoli conseguenze per il supercondominio che se esposto ad azioni giudiziarie per le parti e servizi comuni (e sulla “condominialità” anche dei servizi comuni richiamo cass. 19800/14 e nota di Paolo Scallettaris, in Giur. It., n.1, gennaio 2015 p.39) si troverebbe bloccato nella legittimazione a contraddire che può essere solo in capo all’ amministratore dell’intero complesso, così come affermato dalla recente pronuncia della Corte 40857/2021.

Con l’ulteriore conseguenza di attività legale e spese per far nominare un curatore speciale ex art.65 dacc per poi procedere giudizialmente.

Certo è che le complicate norme sulla gestione del supercondominio (bastava indicare negli amministratori i rappresentanti dei singoli edifici con precisi obblighi di rendiconto) dimostrano, ancora una volta, la poca considerazione del legislatore verso “lo spazio costruito”(l’ espressione è di Paul Bagust, Introduzione al rapporto Il Property Management: un servizio per il Real Estate, RICS, 2019) e le sue necessità economiche di gestione.

Perché senza costruire casi di scuola teorici, ma richiamando le tante fattispecie della pratica quotidiana, in un supercondominio (a prescindere da più o meno 60 condomini) con importanti servizi e parti comuni da gestire in via ordinaria con una valenza economica importante, la mancanza di un rappresentante per formare il consesso decisionale, ne comporta la paralisi con possibili conseguenze nefaste per lo spazio circostante, dal pagamento dei servizi alla costruzione di una valida assemblea per la loro approvazione e predisposizione del fondo economico.

Maurizio Voi

Le convergenze parallele tra amministratore di condominio e Property Manager. Alla ricerca dello “stargate”.
01 Feb

Non è facile affrontare l’analisi economica – giuridica delle attività della gestione immobiliare o “management e operation” dello “spazio costruito” che ha la necessità di continua innovazione dei servizi (Paul Bagust, Introduzione al rapporto Il Property Management: un servizio per il Real Estate, RICS, 2019) considerando anche l’ambito di attività della professione di amministratore di condominio.

Il sottoinsieme economico deve tener conto dell’evoluzione anglosassone poi applicata in Italia, della diversa terminologia – pragmatica – ma che riassume il complesso delle attività richieste per il Real Estate e del diverso approccio: più economico legato al reddito o alla creazione di plusvalenza -capital gain- che alla sola e semplice attività di conservazione del valore capitale del bene (capital conservation).

Beninteso non sfugge la “linea di confine” dei due mondi ed il colorrario delle conseguenze: da una parte il mandato singolo (Property), dall’altra il mandato collettivo (amministratore di condominio), ma vedremo, negli sviluppi successivi di questi studi, per quanto possibile, che le competenze che qualificano le due professioni per la gestione immobiliare o “servizi immobiliari” sono ampie e quasi del tutto coincidenti.

Piuttosto, l’ambiente operativo, lo spazio costruito, dovrebbe far pensare agli amministratori di condominio, che hanno visto un rapido evolversi della tecnologia e sono organizzati e strutturati nella propria gestione aziendale, se non sia il caso di evolversi iniziando a cercare lo “stargate” di comunicazione trai i due mondi.

Non si può più evitare di considerare che il legislatore ha sempre visto l’amministrazione del condominio di edifici anche dopo la novella del 2012  come un “buon samaritano” (si veda l’obbligatorietà dell’amministratore che passa da più di quattro condomini a più di otto e che comunque il proprietario può amministrare il suo condominio anche senza i requisiti dell’art.71 bis dacc, ovvero le regole di amministrazione del supercondominio), anche se onerato di alte competenze tecniche-amministrative-contabili-fiscali gestionali che, guarda caso, le ritroviamo come contenuti dell’attività di Property Management (si rimanda al fondamentale volume di O.Tronconi, A.Ciaramella, B.Pisani: La gestione di edifici e di patrimoni immobiliari, ed. Il Sole24ore, Milano2002).

Nel mercato del Real Estate le “attività immobiliari” sono generalmente suddivise in due categorie: “gestione strategica” e “gestione immobiliare”.  Nella prima si individuano le sottocategorie di “consulenza strategica” e “operazioni strategiche”; nella seconda le sottocategorie di “operazioni amministrative di “property”; le “attività manutentive” e i “servizi di supporto” (c.d. faciliy).

Se ora consideriamo la categoria “gestione immobiliare” ed analizziamo le definizioni classiche e generalmente accettate di property management e facility management, vediamo come per property si intenda (riassumendo) il coordinamento di tutte le attività amministrative – contabili e tecniche all’immobile, mentre il  faciliy afferisce alla gestione di edifici unitamente ai loro impianti e servizi connessi.

Sono macro-aree di servizi al costruito (si noti che in questo scenario è del tutto superato il problema della professione in se, come bagaglio personale culturale tecnico-scientifico della prestazione) ove gli attori sono società strutturate ad hoc.

Ma ciò non deve essere un punto di irrigidimento culturale per l’amministratore di condominio sol che si pensi che in tempi non sospetti, quando per la professione si iniziò a comprendere la necessità di strutturarsi in società,  l’iniziale perplessità della giurisprudenza (Cass.94/5608) venne via via superata (Cass.11155/94) fino ad arrivare all’importante arresto del 24.10.2006 n.22840 (rel.Corona) in cui si evidenziò che:” E’ ragionevole pensare – avuto riguardo al continuo incremento dei compiti – che questi possano venire assolti in modo migliore dalle società (di servizi), che nel loro ambito annoverano specialisti nei diversi rami.”

E’ la necessità economica della gestione dei patrimoni che ha modellato l’attività e le regole (si pensi ai servizi property base e property premium) incentrandola su tutti i “servizi immobiliari”; ma mentre il tema della formazione per il property management rimane ad una distanza rilevante tra università e mondo del lavoro (Futu.re. Scenari Immobiliari,  sesta edizione nov.2020), lo stesso tema nella macro-area del mandato collettivo (condominio) è stato sviluppato e normato (DM 140/2014) e vede gli amministratori di condominio impegnati annualmente nell’aggiornamento di tutti i temi per i servizi all’immobile e attenta gestione alle esigenze delle persone.

Se raffrontiamo le competenze property-facility con quelle obbligatorie dell’amministratore di condominio vediamo che al 90% coincidono, ma le strutture property non racchiudono in sé i veri specialisti, ma laureati in varie discipline economiche con scarsa o quasi nulla sensibilità al costruito.

(In una operazione di NPL, per esempio,  vi è scarsa attenzione nella due diligence all’immobile non tanto nella sua manutenzione ma quanto al contesto edilizio nel quale è ubicato, al costo dei servizi e del mantenimento e ciò, nel tempo, porta a criticità nei costi  e nel successivo realizzo)

E allora è necessario per gli amministratori di condominio andare alla ricerca dello “stargate” per entrare, a pieno titolo, nell’ area economica property; ma ciò vuol dire affrancarsi dalle zavorre dell’intellettualità della professione singola per accogliere il concetto di prestatore di servizi (visione europea) ove il soggetto erogatore non è più il singolo persona fisica ma la persona giuridica.

Passare da un’ idea di conservazione ad un’idea di sviluppo immobiliare ove l’incremento del valore, infine, incide anche sul compenso per l’attività espletata.

Le due professioni possono convivere procedendo ad uno “spin of” della propria attività, offrendo così un vasto plateau di servizi.

Maurizio Voi

Sul supercondominio in generale (1)
19 Gen

di avv. Maurizio Voi

Una definizione di supercondominio (composta da soggetto, verbo e complemento) non è proprio rubricata nel codice al Capo dedicato al condominio, così come modificato dopo la riforma del 2012; R. Triola, Il Supercondominio in Il nuovo condominio, II^ ed. Giappichelli, 2017, ritiene comunque che il legislatore abbia dato una definizione di supercondominio nell’art. 1117 bis.

Vi è da considerare però che quando si tratta di regolare istituti giuridici complessi il nostro legislatore più che nella definizione si è sempre concentrato sul contenuto come ad esempio, per rimanere nel campo dei diritti reali, per la proprietà ove la rubrica dell’art. 832 c.c. è intitolata “contenuto del diritto” e la norma regola i diritti del proprietario.

I pronipoti del legislatore del 1942 hanno elaborato una contorta norma che enuncia come le disposizioni relative al capo dedicato al condominio (Capo II del Titolo VII, Libro III Della proprietà) si applicano, “in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c.”.

L’ambito di applicabilità delle norme sul condominio quindi supera il classico caso di pluralità di edifici, costituiti in distinti condomini, ma compresi in una più ampia organizzazione condominiale, (cosiddetti “supercondomini”), legati tra loro dalla esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni, in rapporto di accessorietà con i fabbricati (Cass.9096/2000), arrivando a comprendere situazioni immobiliari diverse dal classico condominio verticale o diviso in piani e quindi: villette a schiera; ciò che rimane in comune dopo la divisione e quindi scioglimento di un condominio ex art.61 e 62 disp. att. c.c. (Cass.65/80 a cui aderisce R.Triola, op.cit., p.30).

E così ogni qual volta “più unità immobiliari” o “più edifici” ovvero ancora “più condomini di unità immobiliari o edifici” abbiano in comune anche uno solo dei beni indicati nell’art.1117 c.c. (es. due villette a schiera composte di due unità ciascuna e poste l’una difronte all’altra, con in comune l’impianto elettrico o idrico) si devono applicare le norme sul condominio con una complicazione non indifferente circa l’amministrazione, la gestione e la ripartizione delle spese.

Ma la giurisprudenza si è spinta ancora oltre ritenendo come si devono applicare le norme sul condominio anche quando due condominii hanno in comune solo dei servizi (es. portierato, asporto rifiuti, illuminazione, Cass.19800/14 e nota di Paolo Scallettaris, in Giur. It., n.1, gennaio 2015 p.39).

Quindi quando due o più condominii hanno in comune i beni indicati dall’art. 1117 c.c. (o servizi) si applicano ex art. 1117 bis le norme sul condominio in quanto compatibili.

Prima del 2012 si riteneva che il supercondominio (o supercondominio, il primo lavoro sistematico sull’argomento si può far risalire a Rafaele Corona in Locazioni e Condominio, Quaderni, 18, Giuffrè, 1985) trovasse la sua genesi (o “base positiva”: Umberto Vincenti, Comunione residenziale, Cedam, 1995 p.45 e ss., richiamando il Corona), negli artt. 61 e 62 delle disposizioni di attuazione al codice civile.

Secondo l’art. 61 disp. att. c.c.: “Qualora un edificio o un gruppo di edifici appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio può essere sciolto e i comproprietari di ciascuna parte possono costituirsi in condominio separato.

Lo scioglimento è deliberato dall’assemblea con la maggioranza prescritta dal secondo comma dell’articolo 1136 del codice, o è disposto dall’autorità giudiziaria su domanda di almeno un terzo dei comproprietari di quella parte dell’edificio della quale si chiede la separazione”.  

Mentre l’art.62 disp. att. c.c. dispone che: “La disposizione del primo comma dell’articolo precedente si applica anche se restano in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dall’articolo 1117 del codice.  Qualora la divisione non possa attuarsi senza modificare lo stato delle cose e occorrano opere per la sistemazione diversa dei locali o delle dipendenze tra i condomini, lo scioglimento del condominio deve essere deliberato dall’assemblea con la maggioranza prescritta dal quinto comma dell’articolo 1136 del codice stesso.”.

Diviso e quindi sciolto l’originario edificio (in deroga all’art. 1119 c.c. che prevede l’indivisibilità delle parti comuni) se qualche bene ex art. 1117 c.c. (o servizio) rimane in comune per necessità tecnica insormontabile ecco che l’amministrazione -solamente di quel bene o servizio- si inquadra in un ente di livello “superiore” (da qui penso il lemma (latino) “super” anteposto al condominio, cioè: superiore, che sta più in alto, che sta sopra); comunque distinto dai singoli edifici come “organizzazione che si sovrappone a quella dei singoli condomini relativi agli edifici separati” (R.Corona, op.cit., nota 1 di pag.39).

La consolidata giurisprudenza non ha dubbi nel ritenere che per l’esistenza del supercondominio sia sufficiente la presenza anche solo di un bene materiale legato a distinti edifici in condominio in quanto necessario per l’utilizzazione del bene in proprietà esclusiva (meglio definita come relazione di accessorietà, Cass. 19558/13 e Cass.14791/03).

Come il condominio, l’ente superiore al condominio, nasce, come si dice ipso iure e facto se il titolo o la legge non dispongono altrimenti (Cass.19800/2015).

Sempre in generale, questa “fattispecie legale”, ha poi necessità di un amministratore, ma quando?

L’art.67 III° co. disp. att. c.c. dispone che quando i partecipanti sono più sessanta, ciascun condominio deve designare con la maggioranza di cui all’art. 1136, quinto comma, del codice, il proprio rappresentante all’assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell’amministratore.

Quindi parrebbe che solo quando i partecipanti al supercondominio sono più di sessanta sia obbligatoria la nomina dell’amministratore, ma se sono solo sessanta? Non è che la situazione residenziale sia meno complessa da gestire per cui la figura del professionista non è richiesta.

In una situazione residenziale complessa in cui sono presenti più edifici di cui uno con più di otto partecipanti (condominio verticale), una o più villette a schiera con meno di otto proprietari ma la cui somma è meno di 60 ma con impianti e servizi in comune (e non si tratta di un caso di scuola ma classiche situazioni marine, montane o lacustri, financo cittadine) la cui intestazione fiscale dei suddetti beni e servizi deve essere in capo ad un’ ente di gestione, chi decide chi fa cosa e chi paga visto il disposto dell’art. 67 III° co. disp. att. c.c.?

E ciò ci porta ad un’altra riflessione sulla necessità di indagare circa l’assemblea del supercondominio per la gestione ordinaria dello stesso visto che l’art. 1134 c.c. dispone che il “condomino che ha assunto la gestione delle parti comuni (e servizi ndr) senza l’autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea non ha diritto al rimborso, salvo che si tratti di spesa urgente.

Posto che vi sia stata “spesa urgente” il condomino contro chi agisce tenuto conto che manca l’amministratore e che la recente ordinanza della Suprema Corte  del 20.12.2021 n.40857, ad una prima lettura sembra ritenere legittimato passivo comunque la rappresentanza ex art.1131 c.c., l’amministratore del supercondominio.

Tutti temi questi di che ci proponiamo di approfondire.

Maurizio Voi

Il senso dell’amministratore di condominio per la professione intellettuale
10 Gen

Non sfugge agli specialisti del diritto di condominio la presa di posizione dei dirigenti di alcune importanti associazioni di rappresentanza degli amministratori di condominio all’indomani dell’ordinanza della Corte di cassazione del 19 marzo 2021 n.7874, Rel. A.Scarpa.

La Suprema Corte ha statuito che ad un amministratore di condominio, revocato dall’incarico senza giusta causa, sia dovuto anche il risarcimento del danno in applicazione dell’art. 1725 I co. c.c, riconoscendo l’istituto di un contratto tipico di amministrazione il cui contenuto è, nell’essenza, dettato dagli artt. 1129,1130 e 1131 c.c..

L’ordinanza così esclude, e qui è il “pomo della discordia” proprio nel senso del mito della mela lanciata da Eris per i protagonisti del dibattito in corso, che l’attività di amministratore di condominio non costituisce una prestazione d’opera intellettuale non essendo di conseguenza soggetta alle norme dettate in materia dal codice civile in materia (artt 2229-2238).

Per i Giudici di legittimità l’attività di amministratore di condominio rientra nell’ambito delle professioni non organizzate in ordini o collegi di cui alla legge 14.1.2013 n.4.

Infine con la recentissima sentenza n.36430 del 24 novembre 2021 la Suprema Corte ha sottolineato come la riforma dell’istituto del 2012 abbia rafforzato i caratteri professionali dell’attività di amministratore di condominio, delineandone una figura professionale autonoma.

Il confronto in atto tra amministratore professionista o (non) professionista intellettuale, che si sviluppa su un piano meramente giuridico tra associazioni e comunità giuridica, e qui pare lo si voglia mantenere, non tiene in considerazione la necessaria prospettiva economica generale ed economica aziendale dell’attività intesa nel senso classico scientifico delle definizioni generalmente accettate.

Non tiene altresì conto delle fonti comunitarie sul concetto di servizio professionale, inteso come prestazione di rilievo economico che non rientra nella nozione di merce o di capitale e che l’art.57 del Trattato sul funzionamento dell’ Unione Europea stabilisce che sono considerate come servizi le prestazioni fornite dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalla libera circolazione delle merci, dei capitali, e delle persone e che tra i servizi vi ricomprende anche le libere professioni.

La direttiva 2005/36/CE attuata in Italia con il dlgs 206/2007 ha qualificato le prestazioni intellettuali come servizi professionali. Su queste basi si è pronunciata anche la Corte di Giustizia europea che ha più volte ribadito come l’attività dei liberi professionisti si configura come attività d’impresa.

Chi scrive oggi si chiede se abbia ancora un senso continuare la ricerca ed il dibattito sull’attività di amministratore di condominio come professionista intellettuale o piuttosto iniziare seriamente ad esplorare ed analizzare con la scienza economica e di economia aziendale il complesso delle attività che il professionista offre con la sua attività necessaria per gli edifici in condominio.

Onde non cadere in strali ed equivoci ciò non vuol dire -se solo si vuol rimanere saldamenti ancorati alla normativa nazionale- che così argomentando si parifica la professione all’impresa aprendo la strada, in ultima istanza, anche al fallimento, perché anche ciò non è corretto.

In primo luogo perché il “fallimento” -quale espressione portatrice di un disvalore sociale – è stato superato dal legislatore con il codice della crisi d’impresa ed in secondo luogo che il codice della crisi per quanto riguarda i soggetti non fallibili si applica anche al professionista sia esso intellettuale o meno fino alle associazioni professionali oltre che al consumatore ed imprenditore agricolo (L.3/2012).

La ricerca e l’analisi dell’attività di amministratore di condominio deve quindi iniziare a volgere lo sguardo verso altre componenti dell’attività in sé considerata, per esempio anche, e si sottolinea anche, verso i molteplici sottoinsiemi economici (property manager) per uno sviluppo più competitivo della professione nel senso europeo sopra descritto.

Forse oggi -ed è qui la partenza a mente libera ma curiosa- è giunto finalmente il momento di non mantenere ancorata la professione al solo condominio e in tale esercizio irrigidirsi sull’intellettualità di origine ottocentesca, ma iniziare ad analizzare anche nuove competenze che, se ben sviluppate, porterebbero ad un innalzamento del profitto, rispetto alla sola amministrazione di condominio.

Infine un’ulteriore considerazione economica: se un professionista nell’amministrazione di condominio viene incaricato della gestione di un’importante complesso ex art. 1117 bis c.c. che necessità di un particolare ed oneroso investimento economico della propria attività interna, ed attuato l’investimento, poco dopo, senza giusta causa viene revocato nell’incarico, di certo sarà più tutelato dall’art. 1725 I° co. c.c. che prevede il risarcimento dei danni, che dall’art.2237 c.c. (norma applicabile per le sole professioni intellettuali) che riconosce il pagamento della sola opera svolta, oltre al rimborso delle spese effettivamente sostenute per il periodo.

Maurizio Voi

Il Superbonus prevale sulla tutela della proprietà privata
29 Nov

Secondo il Tribunale di Milano (ordinanza cautelare del 13.08.2021 con cui è stata rigettata la richiesta sospensiova della delibera impugnata) è naturale che gli iterventi di coibentazione sulle faccciate (c.d. Cappotto termico) riverbirino i loro effetti anche sulle parti di proprietà esclusiva dei condomini, come ad esempio la superficie dei balconi o dei giardini privati, senza che ciò possa ritenersi quale lesione della proprietà esclusiva.

Ciò anche in funzione del necessario contemperamento di interessi già invocato dalla Suprema Corte (Cass.7938/2017) che deve ispirarsi al principio della solidarietà condominiale.

In buona sostanza l’interesse comune alla coibentazione dell’edificio nonchè l’interesse pubblico della tutela dell’ambiente mediante il contenimento del consumi energetici, prevale sull’interesse egoistico del condomino a non vedere compromessi dall’occupazione da parte del cappotto di pochi centimetri di superficie del balcone.

Su una questione analoga si era invece pronunciato in senso contrario il Tribunale di Roma con la sentenza n. 17997 del 16 dicembre 2020 con cui era stata dichiarata nulla la delibera di installazione di cappotto termico che andasse a restringere la priprietà esclusiva.

La revoca anticipata senza giusta causa dell’amministratore comporta il risarcimento del danno.
27 Mar

Commento a Cass. Civ. 7874/2021 di Avv. Matteo Carcereri

Importante novità dalla Suprema Corte con la pronuncia n. 7874/2021 che non mancherà di destare perplessità.

Quello che lega l’ammnustratore ai condomini è un rapporto di mandato a titolo oneroso, soggetto quindi non tanto alla disciplina dell’art. 2237 c.c. in tema di recesso del cliente dal contratto d’opera di prestazione intellettuale, quanto alla previsione dell’art. 1725 c.c. che statuisce espressamente che “La revoca del mandato oneroso, conferito per un tempo determinato( o per un determinato affare, obbliga il mandante a risarcire i danni, se è fatta prima della scadenza del termine o del compimento dell’affare, salvo che ricorra una giusta causa“.

Ne consegue che se è pur vero che l’assemblea può revocare l’amministratore in ogni tempo (art. 1129, X comma, c.c.), è altrettanto vero che il mandato dell’amministratore dura un anno (“e si intende rinnovato per egual periodo”).

La revoca anticipata senza giusta causa comporta quindi non solo il diritto dell’amministratore a percepire il compenso anche per il periodo residuo di durata del mandato, ma anche il diritto all’ulteriore risarcimento del danno che comuqnue va provato.

La Corte precisa che la giusta causa può coincidere indicativamente con quelle previste per la revoca giudiziale.

Pubblicate sul sito del Garante le FAQ in tema di videosorveglianza
24 Mar

Sono state pubblicate sul sito del Garante per la Protezione dei Dati Personali, le nuove FAQ (Frequently Asked Questions) in tema di videosroveglianza aggiornate dopo l’entrata in vigore del GDPR Regolamento EU 2016/679.

Ne pubblichiamo di seguito il testo completo tratto dal sito del GPDD https://www.garanteprivacy.it/faq/videosorveglianza

Videosorveglianza

Domande più frequenti (FAQ)

1) Quali sono le regole da rispettare per installare sistemi di videosorveglianza?

L’installazione di sistemi di rilevazione delle immagini deve avvenire nel rispetto, oltre che della disciplina in materia di protezione dei dati personali, anche delle altre disposizioni dell’ordinamento applicabili: ad esempio, le vigenti norme dell’ordinamento civile e penale in materia di interferenze illecite nella vita privata, o in materia di controllo a distanza dei lavoratori. Va sottolineato, in particolare, che l’attività di videosorveglianza va effettuata nel rispetto del cosiddetto principio di minimizzazione dei dati riguardo alla scelta delle modalità di ripresa e dislocazione e alla gestione delle varie fasi del trattamento. I dati trattati devono comunque essere pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità perseguite.

E’ bene ricordare inoltre che il Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB)  ha adottato le “Linee guida 3/2019 sul trattamento dei dati personali attraverso dispositivi video” allo scopo di fornire indicazioni sull’applicazione del Regolamento in relazione al trattamento di dati personali attraverso dispositivi video, inclusa la videosorveglianza.

2) Occorre avere una autorizzazione da parte del Garante per installare le telecamere?

No. Non è prevista alcuna autorizzazione da parte del Garante per installare tali sistemi.

In base al principio di responsabilizzazione (art. 5, par. 2, del Regolamento), spetta al titolare del trattamento (un’azienda, una pubblica amministrazione, un professionista, un condominio…) valutare la liceità e la proporzionalità del trattamento, tenuto conto del contesto e delle finalità del trattamento, nonché del rischio per i diritti e le libertà delle persone fisiche. Il titolare del trattamento deve, altresì, valutare se sussistano i presupposti per effettuare una valutazione d’impatto sulla protezione dei dati prima di iniziare il trattamento (cfr. FAQ n. 7).

3) Le persone che transitano nelle aree videosorvegliate devono essere informate della presenza delle telecamere?

Sì. Gli interessati devono sempre essere informati (ex art. 13 del Regolamento) che stanno per accedere in una zona videosorvegliata, anche in occasione di eventi e spettacoli pubblici (ad esempio, concerti, manifestazioni sportive) e a prescindere dal fatto che chi tratta i dati sia un soggetto pubblico o un soggetto privato.

4) In che modo si fornisce l’informativa agli interessati?

L’informativa può essere fornita utilizzando un modello semplificato (anche un semplice cartello, come quello realizzato dall’EDPB e disponibile qui), che deve contenere, tra le altre informazioni, le indicazioni sul titolare del trattamento e sulla finalità perseguita. Il modello può essere adattato a varie circostanze (presenza di più telecamere, vastità dell’area oggetto di rilevamento o modalità delle riprese). L’informativa va collocata prima di entrare nella zona sorvegliata. Non è necessario rivelare la precisa ubicazione della telecamera, purché non vi siano dubbi su quali zone sono soggette a sorveglianza e sia chiarito in modo inequivocabile il contesto della sorveglianza. L’interessato deve poter capire quale zona sia coperta da una telecamera in modo da evitare la sorveglianza o adeguare il proprio comportamento, ove necessario. L’informativa deve rinviare a un testo completo contenente tutti gli elementi di cui all´art. 13 del Regolamento, indicando come e dove trovarlo (ad es. sul sito Internet del titolare del trattamento o affisso in bacheche o locali dello stesso).

5) Quali sono i tempi dell’eventuale conservazione delle immagini registrate?

Le immagini registrate non possono essere conservate più a lungo di quanto necessario per le finalità per le quali sono acquisite (art. 5, paragrafo 1, lett. c) ed e), del Regolamento). In base al principio di responsabilizzazione (art. 5, paragrafo 2, del Regolamento), spetta al titolare del trattamento individuare i tempi di conservazione delle immagini, tenuto conto del contesto e delle finalità del trattamento, nonché del rischio per i diritti e le libertà delle persone fisiche. Ciò salvo che specifiche norme di legge non prevedano espressamente determinati tempi di conservazione dei dati (si veda, ad esempio, l’art. 6, co. 8, del D.L. 23/02/2009, n. 11, ai sensi del quale, nell’ambito dell’utilizzo da parte dei Comuni di sistemi di videosorveglianza in luoghi pubblici o aperti al pubblico per la tutela della sicurezza urbana, “la conservazione dei dati, delle informazioni e delle immagini raccolte mediante l’uso di sistemi di videosorveglianza è limitata ai sette giorni successivi alla rilevazione, fatte salve speciali esigenze di ulteriore conservazione”).

In via generale, gli scopi legittimi della videosorveglianza sono spesso la sicurezza e la protezione del patrimonio. Solitamente è possibile individuare eventuali danni entro uno o due giorni. Tenendo conto dei principi di minimizzazione dei dati e limitazione della conservazione, i dati personali dovrebbero essere – nella maggior parte dei casi (ad esempio se la videosorveglianza serve a rilevare atti vandalici) – cancellati dopo pochi giorni, preferibilmente tramite meccanismi automatici. Quanto più prolungato è il periodo di conservazione previsto (soprattutto se superiore a 72 ore), tanto più argomentata deve essere l’analisi riferita alla legittimità dello scopo e alla necessità della conservazione.

Ad esempio, normalmente il titolare di un piccolo esercizio commerciale si accorgerebbe di eventuali atti vandalici il giorno stesso in cui si verificassero. Un periodo di conservazione di 24 ore è quindi sufficiente. La chiusura nei fine settimana o in periodi festivi più lunghi potrebbe tuttavia giustificare un periodo di conservazione più prolungato.

6) È possibile prolungare i tempi di conservazione delle immagini?

In alcuni casi può essere necessario prolungare i tempi di conservazione delle immagini inizialmente fissati dal titolare o previsti dalla legge: ad esempio, nel caso in cui tale prolungamento si renda necessario a dare seguito ad una specifica richiesta dell’autorità giudiziaria o della polizia giudiziaria in relazione ad un’attività investigativa in corso.

7) Quali sistemi di videosorveglianza necessitano di valutazione d’impatto preventiva?

La valutazione d’impatto preventiva è prevista se il trattamento, quando preveda in particolare l’uso di nuove tecnologie, considerati la natura, l’oggetto, il contesto e le finalità del trattamento, può presentare un rischio elevato per le persone fisiche (artt. 35 e 36 del Regolamento) (per approfondimenti si vedano le “Linee-guida concernenti la valutazione di impatto sulla protezione dei dati nonché i criteri per  stabilire se un trattamento “possa presentare un rischio elevato” ai sensi del regolamento 2016/679” – WP248rev.01 del 4 ottobre 2017). Può essere il caso, ad esempio, dei sistemi integrati – sia pubblici che privati – che collegano telecamere tra soggetti diversi nonché dei sistemi intelligenti, capaci di analizzare le immagini ed elaborarle, ad esempio al fine di rilevare automaticamente comportamenti o eventi anomali, segnalarli, ed eventualmente registrarli. La valutazione d’impatto sulla protezione dei dati è sempre richiesta, in particolare, in caso di sorveglianza sistematica su larga scala di una zona accessibile al pubblico (art. 35, par. 3, lett. c) del Regolamento) e negli altri casi indicati dal Garante (cfr. “Elenco delle tipologie di trattamenti soggetti al requisito di una valutazione d’impatto sulla protezione dei dati ai sensi dell’art. 35, comma 4, del Regolamento (UE) n. 2016/679” dell’11 ottobre 2018).

8) Si possono installare telecamere all’interno degli istituti scolastici?

Si rinvia al riguardo alle FAQ sulla scuola disponibili al link https://www.garanteprivacy.it/home/faq/scuola-e-privacy.

9) Il datore di lavoro pubblico o privato può installare un sistema di videosorveglianza nelle sedi di lavoro?

Sì, esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, nel rispetto delle altre garanzie previste dalla normativa di settore in materia di installazione di impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo (art. 4 della l. 300/1970).

10) L’installazione di sistemi di videosorveglianza può essere effettuata da persone fisiche per fini esclusivamente personali, atti a monitorare la proprietà privata?

Sì. Nel caso di videosorveglianza privata, al fine di evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.), l’angolo visuale delle riprese deve essere comunque limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza, escludendo ogni forma di ripresa, anche senza registrazione di immagini, relativa ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, parti comuni delle autorimesse) ovvero a zone di pertinenza di soggetti terzi. È vietato altresì riprendere aree pubbliche o di pubblico passaggio.”

11) Quali sono le regole per installare un sistema di videosorveglianza condominiale?

È necessario in primo luogo che l’istallazione avvenga previa assemblea condominiale, con il consenso della maggioranza dei millesimi dei presenti (art. 1136 c.c.). È indispensabile inoltre che le telecamere siano segnalate con appositi cartelli e che le registrazioni vengano conservate per un periodo limitato. Valgono al riguardo le osservazioni di cui alla FAQ n. 5. In ambito condominiale è comunque congruo ipotizzare un termine di conservazione delle immagini che non oltrepassi i 7 giorni.

12) Si possono utilizzare telecamere di sorveglianza casalinghe c.d. smart cam?

Sì. Il trattamento dei dati personali mediante l’uso di telecamere installate nella propria abitazione per finalità esclusivamente personali di controllo e sicurezza, rientra tra quelli esclusi dall’ambito di applicazione del Regolamento. In questi casi, i dipendenti o collaboratori eventualmente presenti (babysitter, colf, ecc.) devono essere comunque informati dal datore di lavoro. Sarà comunque necessario evitare il monitoraggio di ambienti che ledano la dignità della persona (come bagni), proteggere adeguatamente i dati acquisiti (o acquisibili) tramite le smart cam con idonee misure di sicurezza, in particolare quando le telecamere sono connesse a Internet, e non diffondere i dati raccolti.

13) I Comuni possono utilizzare telecamere per controllare discariche di sostanze pericolose ed “eco piazzole” per monitorare le modalità del loro uso, la tipologia dei rifiuti scaricati e l’orario di deposito?

Sì, ma solo se non risulta possibile, o si riveli non efficace, il ricorso a strumenti e sistemi di controllo alternativi e comunque nel rispetto del principio di minimizzazione dei dati. In tal caso, l’informativa agli interessati può essere fornita mediante affissione di cartelli informativi nei punti e nelle aree in cui si svolge la videosorveglianza, che contengano anche indicazioni su come e dove reperire un testo completo contenente tutti gli elementi di cui all´art. 13 del Regolamento (cfr. precedente FAQ n. 4). Non è invece previsto o consentito che tale monitoraggio sia posto in essere da soggetti privati.

14) Si può utilizzare un sistema di videosorveglianza per trattare categorie particolari di dati?

Se le riprese video sono trattate per ricavare categorie particolari di dati, il trattamento è consentito soltanto se risulta applicabile una delle eccezioni di cui all’art. 9 del Regolamento (ad esempio, un ospedale che installa una videocamera per monitorare le condizioni di salute di un paziente effettua un trattamento di categorie particolari di dati personali).

In via generale, ogniqualvolta si installa un sistema di videosorveglianza si dovrebbe prestare particolare attenzione al principio di minimizzazione dei dati. Pertanto, il titolare del trattamento deve in ogni caso sempre cercare di ridurre al minimo il rischio di acquisire filmati che rivelino altri dati a carattere sensibile, indipendentemente dalla finalità.

Il trattamento di categorie particolari di dati richiede una vigilanza rafforzata e continua su taluni obblighi, ad esempio un elevato livello di sicurezza e una valutazione d’impatto sulla protezione dei dati, ove necessario (cfr. FAQ n. 7).

15) I sistemi elettronici di rilevamento delle infrazioni inerenti violazioni del codice della strada vanno segnalate da cartello/informativa?

Sì. I cartelli che segnalano tali sistemi sono obbligatori, anche in base alla disciplina di settore. L’utilizzo di tali sistemi è lecito se sono raccolti solo dati pertinenti e non eccedenti per il perseguimento delle finalità istituzionali del titolare, delimitando a tal fine la dislocazione e l’angolo visuale delle riprese. La ripresa del veicolo non deve comprendere (o deve mascherare), per quanto possibile, la parte del video o della fotografia riguardante soggetti non coinvolti nell’accertamento amministrativo (es. eventuali pedoni o altri utenti della strada). Le fotografie o i video che attestano l’infrazione non devono essere inviati al domicilio dell’intestatario del veicolo, ma l’interessato, ossia la persona eventualmente ritratta nelle immagini, può richiederne copia oppure esercitare il diritto di accesso ai propri dati (fermo restando che dovranno essere opportunamente oscurati o resi comunque non riconoscibili i passeggeri presenti a bordo del veicolo).

16) Ci sono casi di videosorveglianza in cui non si applica la normativa in materia di protezione dati?

Sì. La normativa in materia di protezione dati non si applica al trattamento di dati che non consentono di identificare le persone, direttamente o indirettamente, come nel caso delle riprese ad alta quota (effettuate, ad esempio, mediante l’uso di droni). Non si applica, inoltre, nel caso di fotocamere false o spente perché non c’è nessun trattamento di dati personali (fermo restando che, nel contesto lavorativo, trovano comunque applicazione le garanzie previste dall’art. 4 della l. 300/1970) o nei casi di videocamere integrate in un’automobile per fornire assistenza al parcheggio (se la videocamera è costruita o regolata in modo tale da non raccogliere alcuna informazione relativa a una persona fisica, ad esempio targhe o informazioni che potrebbero identificare i passanti).

Atti del webinar 19.03.21 Superbonus e Rendiconto
22 Mar

Alleghiamo le slide relative agli interventi degli Avv. Maurizio Voi e Avv. Matteo Carcerereri in occasione del webinar di aggiornamento professionale del 19 Marzo 2021 organizzato da ANACI Verona in collaborazione con Voi Carcereri Associati Studio Legale:

Dal “tagliaerba” al “bilancio d’esercizio di condominio”
19 Mar

Ritengo che sia giunto il momento di un serio e meditato approfondimento sul “bilancio di condominio” così come delineato all’art. 1130bis e nelle attribuzioni dell’amministratore art.1130 n.7 (registro di contabilità); n.10 (redazione del rendiconto).

E l’approfondimento deve innanzitutto passare sia da una nuova considerazione del documento contabile finale (per ora definiamolo così), rectius rendiconto che l’amministratore deve mettere a disposizione dei propri amministrati alla fine della gestione amministrativa del condominio, sia dalla necessaria assunzione di una nuova terminologia da utilizzare nella comunicazione degli strumenti informativi interni ed esterni che si riferiscono, appunto, al documento contabile finale.

Non è semplice, ci sono da abbattere barriere e vecchie abitudini, confrontarsi, come ha evidenziato Andrea Garbo, con delle professionalità che si formano alla scienza aziendalistica e che, se chiamate a valutare il documento contabile del condominio, lo interpretano secondo quei principi, con risultati troppo spesso pericolosi per gli amministratori.

E nel frattempo irrompe la giurisprudenza in materia (spesso non presa in debita e seria considerazione) che indica i suoi principi contaminando semplicisticamente il rendiconto di condominio con i principi del bilancio d’ esercizio delle società di capitali.

Chiari esempi sono l’ordinanza n.33038/18 della Cassazione (estensore Scarpa); la sentenza 3061/2021 del Tribunale di Roma; la sentenza 9/2021 del Tribunale di Civitavecchia, facilmente reperibili in rete e nella rivista “www.quotidianocondominio.ilsole24ore.com”, dove è detto che se il rendiconto di condominio non è accompagnato dal registro di contabilità, l’assemblea che lo approva è invalida.

È un allert importante (e chi scrive non lo condivide) da tenere a mente; ciò ha innescato un serio dibattito all’interno del Centro Studi regionale.

È ancora corretto definire il documento contabile di condominio come rendiconto?

Perché il legislatore del 2012 ha innestato nell’art.1130bis del codice civile –rendiconto-, anche un sistema informativoche comprende  altri documenti di corredo.

E’ scritto che esso si compone di un registro di contabilità, di riepilogo finanziario, nonché di una nota sintetica esplicativa della gestione con l’indicazione dei rapporti in corso e delle questioni pendenti.

L’indicazione è superficiale e malamente importata da altre norme del codice civile;  ignora i principi legali basilari di bilancio, così  ingenera solo confusione.

Ciò che si vuole affermare, allora, è che o si fa riferimento a principi giuridici presenti nel codice civile per il bilancio, magari semplificandoli per il condominio, ovvero si muta radicalmente l’approccio scientifico e si crea per l’istituto un nuovo ed originale modello contabile.

 Basti pensare che nell’art. 1130bis vi è il richiamo anche alla situazione patrimoniale -ma sarebbe corretto- stato patrimoniale (art.2424 c.c.).

Al contrario la situazione (rectius: stato) patrimoniale dovrebbe essere una delle componenti del documento contabile finale, per non parlare di fondi e riserve.

Proprio per il riferimento alle suddette tre parti inscindibili e complementari, il legislatore avrebbe dovuto scrivere nella rubrica dell’art. 1130bis c.c.: “bilancio d’esercizio di condominio” o “bilancio di condominio”. E così, da ora, suggerisco che venga indicato, perché se proprio dobbiamo riferirci o prendere ad esempio gli articoli del codice che parlano del bilancio delle società (Libro V, Titolo V, Sezione IX) la rubrica dell’art. 2423 c.c. è intitolata “redazione del bilancio” e al primo comma dispone che “gli amministratori redigono il bilancio d’esercizio costituito dallo stato patrimoniale, dal conto economico, dal rendiconto finanziario e dalla nota integrativa.”

In entrambi i casi siamo difronte a componenti inscindibili e complementari ex lege di un bilancio d’esercizio e allora perché per il condominio continuiamo a chiamarlo rendiconto?

Il tempo dell’antica giurisprudenza sul rendiconto-bilancio di condominio è passato e le prescrizioni scritte nell’art. 1130bis ci portano a scollinare dagli antichi arresti.

Uno sguardo anche ad una delle edizioni recenti del Codice del Condominio (ed. la Tribuna, 2016) ci fa capire come il granitico riferimento al rendiconto veniva incrinato alla sottovoce attribuzioni (dell’amministratore) c-6 che veniva intitolata: “Rendiconto/Bilancio”.

D’altra parte, a ben riguardare, l’iniziale impostazione del documento contabile di condominio come rendiconto che si specificava nella sufficienza ed idoneità delle voci di entrata ed uscita, con le quote di ripartizione, in modo tale da “renderle intellegibili ai condomini” (cass. 3231/84; 3747/94) si sia negli anni, man mano affinata, con l’individuazione anche di altri principi come l’indicazione delle “quantità e qualità dei frutti percetti, l’indicazione delle somme incassate, dell’entità e causale degli esborsi, ma anche di tutti gli elementi di fatto che consentano di individuare e vagliare le modalità con cui l’incarico è stato eseguito” (cass.9099/2000).

Cos’altro non sono quelle indicazioni se non: lo stato patrimoniale, il conto economico, il rendiconto finanziario e la nota integrativa?

La semantica delle componenti universalmente riconosciute del bilancio d’esercizio presenti negli articoli di riferimento del codice civile per le società, è stata “copiata” con troppa approssimazione e confusione e senza costruzione di precise poste nell’articolo 1130bis.

Così la giurisprudenza decide che se manca il registro di contabilità, che per le società è documento interno dal quale poi si costruiscono il conto economico e la gestione finanziaria, la delibera è annullabile (vedi giurisprudenza sopra citata), perché è proprio da quest’ultimo registro che sono soddisfatte: “le esigenze informative e contabili” con richiamo all’attribuzione di cui all’art. 1130 n.7 c.c. (Trib. Roma, 3061/2021).

Il che non è del tutto vero a meno che, il principio che si voglia far passare, senza dirlo, è che solo dal registro di contabilità il condomino può vedere cosa abbia combinato realmente l’amministratore dei fondi messi a sua disposizione.

Ma a ben leggere la sentenza da ultimo citata non è nemmeno così perché se in pratica è dall’estratto conto che si può verificare come le uscite corrispondano alle effettive spese erogate e documentate fiscalmente, così come il versamento delle quote da parte dei condomini (scrittura contabile) ed accertare se qualche somma in uscita ha “preso una via diversa” (ma di certo non comparirebbe, ho sarebbe “mascherata”), la sentenza esclude che gli estratti conto soddisfino le esigenze informative contabili.

“C’è da perdersi”? Si.

E’ allora necessario iniziare a parlare una lingua comune e comunque riconosciuta anche nel campo della scienza aziendalistica, con le opportune semplificazioni, ma precise indicazioni sulle poste, con riferimento al documento finale contabile dell’esercizio di condominio.

Per l’intento del legislatore l’art. 1130bis c.c. deve essere considerato come riferentesi al bilancio di condominio o bilancio di esercizio di condominio.

Il telepass per l’approvazione è la sua struttura che è composta dallo stato patrimoniale, conto economico, rendiconto finanziario e nota integrativa. Ma interpretate per l’esigenza del bilancio d’esercizio del condominio.

Così se il condominio vuole comprare un tagliaerba per il grande giardino, esso rientrerebbe nello stato patrimoniale nel prospetto “attivo” e la “posta” ove inserirlo sarebbe “immobilizzazioni immateriali” come “macchinario” o “attrezzatura” con il valore di stima presunta.

Ma l’articolo 2424 c.c. è stato scritto per le società di capitali il cui scopo è il lucro, mentre il condominio non è né persona giuridica ne ha lo scopo di lucro e allora? Non comprate un tagliaerba.

Con il prossimo intervento vedremo come conciliare i suddetti elementi che compongono il bilancio di condominio, con le espressioni semplificate nel primo comma dell’art. 1130bis c.c., tentando la costruzione di una scienza sulla contabilità di condominio.

Maurizio Voi

110Superbonus, General Contractor e amministratore di condominio – trailer.
20 Gen

Chiarito anche dall’ Agenzia delle Entrate che le prestazioni del general contractor non possono essere assimilate a quelle dell’amministratore immobiliare è necessario specificare quale sia la figura di questo soggetto e le sue attività, visto il richiamo ricorrente al nomen in materia di 110Superbonus.

Generale contractor, in italiano contraente generale è una figura giuridica prevista dall’ articolo 194 del decreto legislativo 18.4.2016 n.50 – che è il “Codice dei contratti pubblici” che è appunto intitolato: affidamento a contraente generale.

Esso è un soggetto giuridico previsto e regolato per l’affidamento ed esecuzione delle opere pubbliche e fin da subito è importante chiarire che le norme non possono trovare operatività per i contratti privati d’appalto che rimangono regolati dagli articoli 1655-1677 del codice civile.

Nell’appalto il soggetto che si obbliga ad eseguire l’opera o il servizio è detto appaltatore (art.1655 c.c.).

Entrambi per assumere validamente l’incarico dell’opera devono saper e poter organizzare i mezzi necessari per l’esecuzione dell’opera.

L’ art.194 del codice appalti richiede che il GC abbia adeguata capacità organizzative, tecnico-realizzativa e finanziaria per la realizzazione con qualsiasi mezzo dell’opera, l’art.1655 del c.c.  qualifica l’appaltatore come colui che assume con organizzazione di mezzi e gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera.

In entrambi i casi può essere previsto il poter incaricare terzi per la realizzazione di parti del progetto: è il subappalto nel caso “appalto privato” art.1656 c.c., affidamento a soggetti terzi nel codice dei contratti pubblici (art.194 comma 7).

In entrambi i casi la responsabilità per l’esatta esecuzione dell’appalto rimane in capo all’appaltatore o al  GC che quindi deve fornire il c.d. “pacchetto completo” a regola d’arte.

Questa semplice schematizzazione di cornice serve per comprendere alcune cose importanti nell’ambito dei lavori 110Superbonus nel condominio al di là della qualificazione o terminologia economico-giuridica che si voglia dare al titolo per il cartellone e ai vari attori della commedia che sarà allestita, o se vogliamo “serie”.

L’amministratore non può mai essere un GC o appaltatore poiché egli è un professionista che esercita un’attività intellettuale e non un’ impresa che deve essere dotata di organizzazione di mezzi necessari, capacità tecnico-realizzativa e finanziaria per la messa in opera degli interventi.

Egli si pone all’esterno come deus ex machina ed è chiamato a coordinare le varie situazioni che potrebbero capitare durante l’esecuzione.

Ma per far ciò deve essere cosciente di avere una conoscenza specifica di ciò che accadrà e cosa di potrà accadere perché, in fin dei conti, è colui che su mandato dell’assemblea firmerà il contratto d’appalto.

Alcune regole tratte dall’ art.194 posso così divenire utili per il nostro deus come l’attenzione al progetto esecutivo, sulla nomina dei professionisti, sorveglianza sulle opere e sulla sicurezza, varianti di progetto, affidamento dei lavori a terzi poiché alla fine il soggetto da tutelare sono i clienti-condomini.

Allora l’attenzione che il legislatore ha posto nei 20 commi dell’art. 194 per affidare al GC le opere pubbliche può tornare utile come schema per verificare che colui che si propone come contraente generale per la realizzazione degli interventi di efficientamento energetico in condominio abbia previsto ogni aspetto dell’opera che andrà ad eseguire.

E qui l’attenzione deve essere massima perché mentre per le opere pubbliche vi è un soggetto che si aggiudica l’appalto il quale affida al GC la realizzazione, è sempre il soggetto aggiudicatore che deve provvedere al controllo e alla nomina dei vari professionisti.

Traslare de plano tutto al GC o appaltatore potrebbe comportare dei problemi tra esecutori, controllori (appalto) e certificatori finali (superbonus).

Vi è da chiedersi se è corretto che tutti gli attori della commedia possano essere nominati dal GC perché è chiaro nell’art.194 che ciò non è possibile rimanendo, in estrema sintesi, in capo al GC la realizzazione pura e in capo all’aggiudicatore il controllo con i professionisti all’uopo incaricati.

In più con il 110Superbonus entrano in sciena altri soggetti e subito vi è da chiedersi a chi rispondono?  Al GC /appaltatore o al committente?

Se come crediamo la risposta è al committente (anche in funzione della polizza assicurativa) è il nostro deus ex machina che dovrà avere un controllo su di loro, che poi si riflette sulla correttezza delle opere per i clienti-condomini e quindi sulla possibilità di detrazione o cessione del credito.

Mutuando dalle serie televisive, la “stagione 1” prevede un episodio sul conflitto d’interessi ex art.1394 c.c.?

Perché se fosse così un possibile finale sarebbe l’invalidità del contratto.

Maurizio Voi